giovedì 18 aprile 2019

SULLA POLEMICA DELLE VACANZE SCOLASTICHE TROPPO LUNGHE

La campagna di stampa sulle vacanze pasquali troppo lunghe a scuola quest'anno (perché si attaccano con il ponte del 25 aprile e per alcuni istituti scolastici con il ponte del 1 maggio)è fuorviante.Si confonde la necessità delle famiglie che lavorano in questi giorni con il bisogno di custodia dei figli. Ma la scuola non è una baby-sitter. Essa deve assicurare i 200 giorni di lezione e ogni regione stabilisce il calendario scolastico,cui il Consiglio d'Istituto,dove sono presenti anche i rappresentanti dei genitori,può aggiungere altri giorni di sospensione didattica,nel rispetto di tale tetto.Se si vuole intrattenere gli studenti a scuola anche in queste vacanze,nei pomeriggi, il sabato quando molte scuole sono chiuse, e d'estate (ricordiamo anche la polemica sulle vacanze estive troppo lunghe),si paghino le associazioni di educatori che possono assolvere allo scopo.Lasciate che i docenti ( e i dirigenti scolatici) si riposino da un lavoro entusiamante quanto si vuole, ma oggi molto stressante.E anche gli studenti hanno bisogno di una pausa dallo studio ogni tanto.Ben vengano le scuole aperte per fare teatro,arte,musica, sport,come ha proposto l'associazione TreeLLLe, attività affidate appunto agli educatori. I genitori ( e i giornalisti) si preoccupassero di più per le strutture scolastiche fatiscenti, vera emegenza del paese.

lunedì 8 aprile 2019

LA SCUOLA DEI DISEGUALI

Sull'ultimo numero dell'"Espresso" è apparso un interessante articolo sulla scuola finlandese, che ,com'è noto, è una scuola d'eccellenza.Nell'articolo che s'intitola:"Nella scuola degli uguali", si spiega che tutti gli alunni, a prescindere dalle condizioni economiche e sociali, raggiungono gli stessi obiettivi didattici ed educativi.Qual è il segreto di tali eccellenti risultati? Forse il fatto che sono in Filandia solo 5 milioni di abitanti contro i 60 milioni in Italia?No,l'autrice dell'articolo spiega: "Come si fa a garantire ad ogni ragazzo le stesse opportunità di farsi strada per proprio merito,, e non per capitale familiare?"E' facile:applichiamo un principio di discriminazione positiva" risponde Taimela (un' insegnante finlandese).Ovvero: investono di più non dove già si brilla, ma dove c'è maggior bisogno.Nei quartieri più difficili.Nelle aree più povere.Lì, le classi luccicano, per essere un vero trampolino.Più che dove le famiglie possono già garantire molto.Una prospettiva che sembra lontanissima,vista da Roma." In Italia si investe nelle scuole allo stesso modo, come se fossero tutti eguali.Ma- come dice don Milani,"non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali." Purtroppo nessun governo né di destra né di sinistra né tantomeno l'attuale, ha realizzato la vera rivoluzione che serve alla scuola italiana: dare di più laddove ce n'é bisogno. Investire per esempio nei quartieri dove cè la maggiore dispersione scolastica, la presenza della criminalità e delle devianze, la povertà economica che diventa anche educativa. La nostra scuola, come certificano le prove INVALSI, rimane profondamente disuguale:si raggiungono meno competenze al sud che al nord, nelle periferie urbane che nei quartieri ricchi.La nostra scuola non fa che certificare il divario della provenienza sociale.

venerdì 29 marzo 2019

A scuola non serve il controllo sulle impronte digitali e il riconoscimento dell'iride per i professori

Non è la prima volta che si fanno leggi sulla pubblica amministrazione in generale, senza tener conto della specificità della scuola.E' il caso recente della Commissione Affari costituzionali della Camera che ha dato il via libera ai controlli su pubblici dipendenti attraverso le impronte digitali e il riconoscimento dell'iride.Che siano opportuni e necessari, lo rivelano gli episodi balzati algli onori delle cronache di dipendenti che strisciavano il cartellino anche per gli altri assenti che andavano al mare o in palestra o a fare la spesa. Famoso è il video del dipendente comunale sceso in mutande dal suo appartamento sopra all'ufficio comunale per marcare il cartellino e andarsene poi a dormire.Ma si tratta spesso di dipendenti comunali o dei ministeri, al massimo degli uffici degli ex provveditorati agli studi.Ma non ho notizia di professori che lasciano la scuola e vanno a fare altro, anche perchè subito si noterebbe che gli studenti rimangono da soli. Se dovesse succedere (caso rarisssimo), il dirigente scolastico ha tutte le armi per intervenire. Questo lo sa anche il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti che commentando il disegno di legge dice:"Sono favorevole ai controlli digitali all'ingresso delle scuole, ma non per questioni di controllo sull'assenteismo, piuttosto per ragioni di sicurezza.Un ministero deve sapere chi c'è all'interno di un edificio di 1200 persone."Il ministro teme che entrino a scuola persone estranee che si spacciano per professori? Non riesco proprio a capire.Poiché questi sistemi di sorveglianza hanno un certo costo e non mi sembrano necessari per le scuole, non è meglio spenderli per altri problemi più urgenti, per esempio la sicurezza statica degli edifici scolastici?

sabato 9 marzo 2019

Ma l'autonomia scolastica è una conquista, non si può tornare indietro!

L'autonomia scolastica compie vent'anni e molti la criticano addossandole tutti i mali della scuola odierna.Ma c'è molta confusione nelle critiche che si fanno.Innanzitutto bisogna considerare da dove si partiva: una scuola che dipendeva dai vertici del Ministero per la programmazione e dal Provveditorato agli studi per tutte le altre incombenze.E' questa scuola che si rimpiange? Non credo.La programmazione legata al contesto territoriale(POF) è stata una grande conquista. Ma vediamo le critiche principali. Si dice che l'autonomia avrebbe causato il progettificio.I progetti da realizzare nella scuola vengono definiti dal Collegio dei docenti che ha tutto il potere di selzionarli e di approvare quelli che ritiene più pertinenti. Si dice che sono state poste le scuole in concorrenza.Questo però non dipende dall'autonomia delle scuole, ma dal fatto che è stata abolita la platea. Si dice che i dirigenti scolastici hanno troppo potere.Questo è vero, l'autonomia scolastica richiede un potere/responsabilità del preside che prima (nella scuola verticistica) non aveva.Ma il problema è che non si è formata un middle management che supporti il dirigente e questo a causa di una visione piattamente egualitarista dei sindacati della scuola che non ammettono gerarchie, senonché tutte le istituzioni sono gerarchiche, pena la loro dissoluzione. Se una critica va fatta,secondo me, è che l 'autonomia s iè realizzata solo in parte, per esempio l'istituzione scolastica non ha ancora un'autonomia finanziaria,perché i finanziamenti che riceve sono per la gran parte vincolati, non ha un'autonomia didattica perché ci sono i paletti degli orari;le reti di scuole non sono state sufficientemente supportate.

domenica 27 gennaio 2019

CONDIVIDO IL DIVIETO DELL’USO DEI CELLULARI A SCUOLA

Quando la ministra Fedeli, disse sì allo smartphone in classe, vi scrissi che come dirigente scolastico ero assolutamente contrario. Adesso devo dire che condivido la proposta di divieto dell’uso dei cellullari che distraggono gli alunni dalle lezioni degli insegnanti o vengono usati nei cambi orari e nell’intervallo per filmare episodi da mettere in rete al fine di deridere il compagno più debole o l’insegnante meno autorevole . La linea del ministro Bussetti, a tale proposito, è rispettosa dell’autonomia scolastica: ogni scuola decida se e come far utilizzare lo smartphone a livello didattico; e così ogni singola scuola può decidere anche una deroga per gli insegnanti che lo utilizzano per compilare il registro on line. Il divieto imposto per legge serve a persuadere i genitori che non vogliono tagliare il cordone ombelicale ai loro figli, che se proprio i loro figli vogliono portare il cellulare lo devono tenere spento nello zaino e se lo usano quando non è consentito, deve essere sequestrato. Il problema sorge per la custodia. Non è ipotizzabile che tutti cellulari vengano custoditi in presidenza per 2 motivi: il preside non è presente in tutti i plessi scolastici che dirige ( a causa delle legge 111/2011 essi dirigono più scuole, forse ve lo siete dimenticato); se pure fosse un solo edificio scolastico a dirigere, non basterebbe la vasca da bagno, se ci fosse, per contenerli, come giustamente ha osservato il prof. Rusconi dell’ANP. E allora il ministro riprenda quella buona idea che espresse all’inizio del suo mandato: dotiamo le scuole di armadietti metallici che si chiudono a chiave, come negli Stati Uniti, dove gli alunni possono riporre i loro libri e i loro cellulari. Questa sì che sarebbe una rivoluzione! Finalmente avremmo una scuola che non fa portare agli alunni gli zaini pesanti sulle spalle distorcendo la loro colonna vertebrale, che fa fare i compiti a scuola (aumentando le ore dell’orario scolastico e la paga degli insegnanti, alla pari degli altri paesi europei) e introduce la mensa per tutti, studenti e operatori della scuola, dando centralità e importanza all’istruzione e alla formazione. Ma tutto ciò richiede finanziamenti dirottati verso la scuola, che al momento non si vedono, nonostante le buone intenzioni. Eugenio Tipaldi

martedì 25 dicembre 2018

Regionalizzazione della scuola: evitare la catastrofe

Il nuovo testo costituzionale 3/2001,voluto dal centrosinistra per contrastare le idee secessioniste della Lega Nord di Bossi, ha aperto comunque spazi per future, costanti e striscianti sovrapposizioni nell’esercizio di competenze legislative. come sembra già dimostrare la primissima fase applicativa che ha visto un alto tasso di conflittualità giudiziale innanzi la Corte costituzionale ,e ancora di più, se dovesse essere approvato il DDL sull’autonomia del Veneto e delle altre regioni settentrionali (la Lombardia in primis, ma si accoderebbero anche il Piemonte e l’Emilia-Romagna). Un’Italia federale segnerebbe la fine dello Stato nazionale italiano così come era stato conquistato da Cavour, Mazzini e Garibaldi e così come disegnato dalla nostra Costituzione del 1948.Ci si richiama per il modello federale a Cattaneo e alla sua proposta di riforma liberale dello Stato sul modello degli Stati Uniti e della Svizzera. La legislazione e la amministrazione dei tipici servizi sociali (la istruzione, la cura della salute, i trasporti) fanno capo ai soli governi periferici quando non sono di regola demandati all’iniziativa di comunità locali o, spesso, di organizzazioni private o ecclesiastiche. Il governo centrale non ha il potere di imporre una imposta diretta sui redditi, che serva a ridistribuire in qualche modo la ricchezza per avvicinare le posizioni economiche di tutti i cittadini dell’unione. Ma il problema storico dell’Italia e della sua debolezza è che è stato sempre divisa in piccoli stati, nonostante avesse una cultura e lingua comune. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” già declamava il nostro sommo poeta Dante Alighieri nel secolo XIII. Si dovevano perciò unire i piccoli staterelli italiani e formare un popolo, non unire debolezze a debolezze. Cattaneo lo si può citare anche come precursore, insieme a Mazzini, dell’idea degli Stati Uniti d’Europa che sarà ripresa da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel manifesto di Ventotene del 1941 il cui sogno, realizzato parzialmente (l’Unione Europea che è più una confederazione di stati che una federazione) ha consentito agli stati europei di vivere in pace per più di 70 anni dopo che si erano combattuti a vicenda nella prima e seconda guerra mondiale, con milioni di morti. La disgregazione dell’Europa Unita voluta dai movimenti neo-nazionalisti detti anche “populisti” ci riporterebbe indietro nella storia, così come la proposta autonomistica della Lega. Altra cosa è l’autonomia scolastica. Intendiamoci: una cosa è il decentramento che mantiene un’unità nazionale nei programmi (indicazioni nazionali) e nelle retribuzioni professionali; altra cosa è avere tante scuole regionali differenti nella programmazione e nello status professionale. Nella proposta autonomistica della Lega si rischia di sostituire al centralismo nazionale un “centralismo regionale” a scapito dell’autonomia scolastica che pur si era affermata. I provvedimenti che aboliscono la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici e gli ambiti territoriali a favore di un potenziamento degli uffici scolastici provinciali ricostituisce di fatto un centralismo: se nazionale o regionale si vedrà. Nell’ultima ipotesi, ci potrebbero essere regioni che negano la frequenza scolastica ai figli di immigrati irregolari che dalla legislazione nazionale è garantita, così come qualche comune con sindaco leghista ha tentato di vietare la mensa ai bambini extracomunitari con richieste burocratiche di ulteriore documenti. Stiamo parlando del comune di Lodi che aveva cambiato il regolamento di accesso alle agevolazioni per le mense scolastiche chiedendo alle famiglie straniere di fornire documenti originali e traduzioni dai paesi di origine, circostanza che escludeva di fatto molti bambini stranieri dalle tariffe agevolate. Il tribunale di Milano ha stabilito che anche i cittadini non appartenenti all'Unione europea devono poter presentare la domanda per accedere alle prestazioni sociali con il modello Isee alle stesse condizioni dei cittadini dell'Unione europea; e con un'ordinanza ha chiesto al Comune di Lodi di modificare il regolamento. E’ un esempio di quello che potrebbe accadere con legislazioni regionali differenziate. Per fortuna c’è la Costituzione del 1948 a difenderci da queste aberrazioni, a meno che non venga anch’essa modificata. Già con il governo Monti (2011-2013) si è cercato di rivedere la riforma 3/2011, a causa dei crescenti conflitti dinnanzi alla Corte costituzionale. Si è proposto di integrare il primo comma dell’art. 117 in questo modo: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, con la precisazione: “Il legislatore statale adotta gli atti necessari ad assicurare la garanzia dei diritti costituzionali e la tutela dell’unità giuridica od economica della Repubblica” . Nel caso di conflitti tra stato e regioni, si stabiliva quindi la supremazia dello Stato. La nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, disporrebbe che “nelle materie di legislazione concorrente le Regioni esercitano la potestà legislativa nel rispetto della legislazione dello Stato, alla quale spetta di disciplinare i profili funzionali all’unità giuridica ed economica della Repubblica stabilendo, se necessario, un termine non inferiore a centoventi giorni per l’adeguamento della legislazione regionale”. Inoltre, l’art. 127, comma 1, nella proposta di riformulazione, ammetterebbe la possibilità di impugnazione governativa anche in seguito all’ “inutile decorso del termine fissato ai sensi dell’ultimo periodo del terzo comma dell’articolo 117”. Per qualcuno era una controriforma del Titolo V, ma si trattava di inserire nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente considerate della legislazione concorrente: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Il successivo governo Renzi ha ripreso il disegno di legge Monti riproponendolo nella proposta di riforma costituzionale detta anche “riforma Boschi”. La riforma, nata con un disegno di legge presentato dal Governo Renzi l'8 aprile 2014, si prefiggeva «il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Il testo di legge costituzionale approvato dal Parlamento italiano il 12 aprile 2016 è stato bocciato dal referendum popolare confermativo il 4 dicembre 2016. Così è rimasto il problema della conflittualità stato-regioni e la possibilità di attribuire alle regioni le materie spettanti allo stato fino al limite estremo del federalismo, con le conseguenze che abbiamo descritto. Sono visioni legittime entrambe: la supremazia statale con alcune funzioni decentrate ; la decentralizzazione delle funzioni statali a livello regionale creando di fatto uno stato federale. Occorre capire di cosa ci sia bisogno nella dialettica stato-regioni riconosciuta dalla nostra stessa Costituzione. Si tratta, secondo noi, di attribuire alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio nell’area della legislazione concorrente, prevedendo che spetti alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica, pena una sua frantumazione. Consideriamo l’unità d’Italia un bene fondamentale per la crescita economica ,culturale e sociale del Paese. Eugenio Tipaldi

domenica 2 dicembre 2018

AUTONOMIA DELLA SCUOLA O RITORNO AL PASSATO?

Dopo aver risposto alle offese indiscriminate sui dirigenti scolastici da parte della senatrice Granato del M5S nel presentare la legge sull’abolizione della chiamata diretta (vedi mia lettera: “Attacco pretestuoso ai dirigenti scolastici: inaccettabile!”), entro nel merito. Una scuola con personalità autonoma (Legge 59 del 15 marzo 1997 e successivo regolamento D.P.R. n. 275/1999) ha bisogno, con buona pace degli insegnanti, di un dirigente scolastico con pieni poteri. La chiamata diretta rispondeva a questa necessità: la possibilità di reclutare i docenti in base alle esigenze espresse dal PTOF. Se si pensava che la scelta del dirigente scolastico fosse troppo discrezionale, si poteva prevedere di affiancargli nella scelta il comitato per la valutazione per gli insegnanti sulla base dei criteri espressi dagli organi collegiali. La valutazione del dirigente scolastico ha senso se il dirigente può scegliere non solo i suoi collaboratori, ma anche gli insegnanti che ritiene validi per la realizzazione del progetto di offerta formativa. Egli quindi risponderà dei risultati in termini economici e di permanenza in quell’istituto ( o con il licenziamento, se risulterà del tutto incapace). Questo sistema richiede quindi che i docenti siano valutati dal dirigente scolastico, che alla fine del triennio può confermare o meno il contratto con il singolo docente. Certo, ciò confliggerebbe con le difese sindacali degli insegnanti che non avrebbero più una titolarità stabile, ma triennale; e alcuni insegnanti ,i meno capaci, rischierebbero di restare a casa e di non essere convocati da nessun dirigente scolastico. Andrebbero evitati i casi di discriminazione verso partorienti e disabili, stabilendo delle quote obbligatorie di reclutamento per le scuole.. Diversamente non ha senso la valutazione del dirigente scolastico. E’ come dare a un allenatore di calcio una squadra già formata e proporgli , senza che possa scegliersi i suoi giocatori, come fine: vinci il campionato! Per la valutazione degli insegnanti, ci sarebbe solo la possibilità di conferire il merito agli insegnanti ritenuti più bravi dal dirigente scolastico, a meno che non si voglia abolire anche questo e ritornare alla vecchia scuola dei decreti delegati con il preside primus inter pares in una comunità educante costituita da tanti poteri bilanciati (collegio dei docenti, consiglio d’istituto, assemblee dei genitori, presidenza). Cioè torneremmo a prima della legge sull’autonomia, che invece è una conquista della scuola, anche se non attuata completamente, dettata dalla necessità di rispondere ai bisogni specifici del singolo territorio.. Riassumendo, gli esponenti dell’autonomia delle regioni (Lega e M5S che si accingono a votare una legge per la regionalizzazione della scuola, su cui non sono d’accordo, perché si frantuma il sistema scolastico che deve rimanere nazionale) sono contro l’autonomia delle scuole! Il M5S era per l’elezione dei presidi da parte del collegio dei docenti. Un preside che torna a fare il direttore didattico, con un Provveditorato che trasmette verticalmente quanto deciso dal Ministero dell’Istruzione, ci riporterebbe al passato. Ma la scuola è cambiata insieme alla società e non si può tornare indietro nel bene e nel male. Ci spieghino gli esponenti del governo qual è il loro programma della scuola, perché non l’abbiamo capito, a parte la volontà di abolire la legge 107/2015.Dove vogliono portarci, forse alla scuola degli alunni in grembiule che il sessantotto aveva cancellato?