mercoledì 29 novembre 2017
SONO CONTRARIO ALLA SCUOLA SUPERIORE DI 4 ANNI
La sperimentazione dei licei a 4 anni prelude, nel prossimo governo evidentemente, al taglio di un anno delle superiori, con tutte le conseguenze delle perdite di cattedra. Oltre al danno agli alunni che devono svolgere un orario anche pomeridiano per recuperare i programmi compressi da 5 a 4 anni, c’è la beffa agli insegnanti e al personale scolastico che viene ridotto. La fisarmonica del potere fa sì che una volta si allargano i cordoni (vedi immissione in ruolo di 100000 precari) e una volta li si stringe.
Per far sì che i nostri giovani studenti si diplomino a 18 anni e non a 19 ,come avviene oggi, ho già detto in altra occasione che c’è una soluzione indolore: cominciare la I elementare a 5 anni. L’eventuale perdita di sezioni a 5 anni della scuola dell’infanzia dovrebbe essere compensata nel rendere obbligatoria la stessa per i bambini di 3 e 4 anni.
Ma sospetto che dietro la necessità di far diplomare i nostri studenti a 18 anni, tagliando le superiori, si nasconde la volontà di far cassa. Inoltre la mia proposta non passerà mai perché danneggerebbe le scuole paritarie che fanno la primina a 5 anni e non sia mai: esse non devono perdere, lo può solo la scuola statale!
Eugenio Tipaldi
Dirigente scolastico
martedì 14 novembre 2017
il coraggio dei giovani e l'ipocrisia dei vecchi come Crepet
E’ difficile parlare male di un luminare della psichiatria qual è Paolo Crepet, ma leggendo il commento al suo libro ultimo pubblicato “Il coraggio”, apparso su “Orizzontescuola”,non posso fare a meno di rilevare come addetto ai lavori che stavolta, contrariamente al solito, il professore ha sfoderato una serie di luoghi comuni che da lui non mi sarei aspettato.
Egli dice: “Una scuola che non boccia è una scuola marcia”. Si vede che come tutti quando invecchiano , si ha nostalgia dei tempi andati. Ma Crepet conosce bene il testo di don Milani “Lettera a una professoressa”. Il priore domandava alla professoressa che bocciava: chi viene bocciato? E rispondeva: il figlio del contadino, il figlio dell’operaio, cioè i figli delle famiglie povere, dove non c’erano libri e non c’erano soldi. E invece di aiutarli, che si faceva? Li si bocciava, li si espelleva dalla scuola.
La proposta di non bocciare deriva quindi dalla necessità di non penalizzare ulteriormente, come prevede la nostra Costituzione, chi è già svantaggiato, almeno per la scuola dell’obbligo. La scuola finlandese, che risulta nelle statistiche OCSE un’ottima scuola, per esempio non boccia e progetta per chi è in difficoltà percorsi di recupero.
L’esperienza “mistica” del 4 in matematica la lascerei perciò al figlio del benestante e comunque alle superiori. Se il 99% degli studenti viene promosso all’esame di maturità, è perché quel diploma ormai non ha più valore , come anche la laurea, per trovare un lavoro. La selezione avviene spietatamente dopo nella società e purtroppo per noi, la nostra società non premia il merito, ma solo gli amici degli amici. Chi ha conoscenze, va avanti. Chi vuole valorizzare il proprio merito, deve recarsi per forza all’estero. E’ fuorviante dire che i nostro giovani non vogliono andare all’estero: sta succedendo esattamente il contrario.
E se altri giovani preferiscono rimanere in Italia, pur senza lavoro, perché legati alla famiglia e alla propria città, non è certamente colpa loro: la colpa è di chi non offre loro la possibilità di un lavoro decente che gli faccia costruire il proprio futuro. Ci vuole coraggio a non vedere che noi vecchi , per conservare il nostro potere, stiamo tarpando le ali alle giovani generazioni e dare la colpa ai genitori troppo protettivi. L’ iperprotettività di questi genitori-errata perché non favorisce l’autonomia dei figli ed è diseducativa- nasce dalla paura del mondo esterno dove non vigono più regole e si inseguono falsi miti e false libertà. E’ una società dove si sta perdendo il senso della comunità e dove prevale il narcisismo individualista e/o nazionalista. Ma questo è dovuto allo sviluppo attuale della società e non è colpa né degli individui né delle famiglie. Il vero problema è:si può immaginare un percorso sociale e culturale diverso?
Eugenio Tipaldi
dirigente scolastico
mercoledì 25 ottobre 2017
CONTRO L'ESTENSIONE DEI PON ALLE SCUOLE PARITARIE
Non paghi di ricevere soldi pubblici dallo Stato oltre che dai privati,le scuole paritarie adesso bussano alle porte dello Stato e dell'Europa anche per i PON per ricevere altri finanziamenti.La filosofia di fondo ,ideata da Luigi Berlinguer e sposata dal sottosegretario all'Istruzione Toccafondi,è che le paritarie assolvono ad una funzione pubblica,cioé le scuole private suppliscono a una mancanza di scuole pubbliche. Sarà pur vero, ma ricordo che la Costituzione Italiana dà sì libertà di istituire scuole private, "ma senza oneri per lo Stato".
Il problema è che ciò che si dà alle scuole private, si toglie alle scuole statali, stante i i ristretti finanziamenti pubblici alle scuole.Questa è la verità. E ce lo dice la condizione delle scuole pubbliche insicure nelle strutture che ospitano gli alunni e tante altre carenze che i genitori conoscono bene, perché costretti a comprare la carta igienica,i rotoloni di carta e quant'altro.
mercoledì 18 ottobre 2017
APPELLO PER UNA LEGGE CHE ASSOLVI PRESIDI E INSEGNANTI DALL’OBBLIGO DI VIGILANZA FUORI DALLA SCUOLA
Oltre alla responsabilità sulla sicurezza della scuola, incombe sui dirigenti scolastici anche l’incombenza dell’affidamento dei minori. Dopo la sentenza della Cassazione che ha condannato la scuola per mancata vigilanza fuori della scuola in seguito alla morte di un alunno undicenne investito da un bus, presidi e insegnati sono giustamente preoccupati.
Ma se un genitore mi dice che non può venire a prendere il minore perché lavora o per altri motivi, non ha altre persone cui delegare il prelevamento oppure c’è ma è un altro minore un po’ più grande, cosa deve fare un dirigente scolastico? Chiama ogni volta la polizia o i carabinieri come ha fatto qualche mio collega? O i vigili (se vengono), come si fa a Nocera Inferiore?
La scuola ha in affido i minori ma una volta che sono usciti da scuola è responsabilità dei genitori venire o o non venire a prenderli. Perché devo rispondere io preside o io insegnante dell’ultima ora delle manchevolezze del genitore che insiste per far uscire autonomamente il figlio?
Il Parlamento deve assolutamente deliberare in merito, perciò ho firmato la petizione di legge che è stata presentata per abolire il reato di abbandono di minori per la normale attività autonoma dei bambini e dei ragazzi. I sindacati della scuola ci appoggino in questa battaglia (una volta tanto, non si tratta di far sborsare soldi da parte dello Stato, ma solo di fare una legge ragionevole).E anche la ministra Fedeli, così sensibile, ci dia una mano.
martedì 17 ottobre 2017
L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO ALL’ITALIANA: UNA CAVOLATA!
Un altro punto da abolire tout court della Buona Scuola (l’altro punto da abolire è la chiamata diretta, come ho spiegato in un precedente commento), è l’alternanza scuola-lavoro. Ho letto con attenzione la difesa d’ufficio che ne ha fatto Simona Malpezzi sul giornale online “Democratica”.
Intanto non c’entra niente l’alternanza con il problema della dispersione scolastica. Poi non è vero che tale alternanza ricalca il sistema tedesco che prevede un sistema duale. I licei preparano al percorso universitario; i tecnici e i professionali dovrebbero portare a un percorso professionale subito dopo il diploma.
E’ qui che andrebbero concentrate le risorse, le disponibilità, le relazioni con le imprese e l’artigianato. E’ qui che la scuola italiana è manchevole. E’ qui il vulnus, il punto debole!
Che mi significa che al liceo classico vado a fare esperienza nei call center? Non parliamo per favore di orientamento. Alle medie, anello debole del nostro sistema scolastico, se si vuole davvero introdurre il sistema tedesco, vanno selezionati gli alunni che dovranno fare un percorso professionalizzante e quelli che vanno al liceo. Se innalzo l’obbligo d’istruzione a 16 anni o addirittura come pare si voglia fare a 18 anni, è chiaro che hai la dispersione scolastica degli alunni che non amano studiare nel senso tradizionale del termine (lo studio teorico). Diverso è se gli dai l’opportunità di continuare gli studi per imparare un lavoro e gli offri un percorso più pratico. La teoria non è mai separata dalla pratica, ma non siamo tutti uguali: c’è chi è portato più per gli studi che una volta si sarebbero detti contemplativi e chi è incline al fare, all’operare. Gardner ce l’ha insegnato: le intelligenze sono differenti. Questo non significa che la pratica è meno dignitosa della teoria,anzi.
L’alternanza scuola-lavoro all’italiana non ha senso: è una perdita di tempo, è uno sfruttamento come hanno denunciato gli studenti, è una cavolata. Aboliamola, per favore!
Eugenio Tipaldi
Dirigente scolastico
mercoledì 27 settembre 2017
DOVE IL PD HA SBAGLIATO SULLA SCUOLA
Nel suo libro recentemente pubblicato Renzi ammette che qualcosa nella riforma della scuola il PD ha sbagliato, anche se non sa dire bene su che cosa, imputando gli errori a una sbagliata comunicazione.. Valeria Fedele, il ministro dell’Istruzione, alcuni giorni fa riferisce:“ Non si può avere investito risorse e assunto 100mila persone e avere tutto il mondo della scuola contro: evidentemente qualcosa dobbiamo aver sbagliato. Io penso che una delle ragioni è che quando si vogliono fare cambiamenti, bisogna coinvolgere gli interlocutori con un confronto vero sugli obiettivi e sulla qualità della proposta. Nel momento in cui tu condividi l’obiettivo è molto più facile trovare i punti di sintesi”.
In verità il PD ha provato a coinvolgere all’inizio della riforma i docenti e quindi il problema non è stato il mancato coinvolgimento degli interlocutori o l’errata comunicazione.
La riforma Giannini, oltre ad assumere centomila insegnanti, ha tentato di modificare il reclutamento degli stessi, facendoli chiamare direttamente dai dirigenti scolastici (la cosiddetta chiamata diretta), avendo contro tutti i sindacati della scuola, tranne quelli dei dirigenti scolastici, che si sono beccati l’accusa di diventare “sceriffi”, cioè sono stati accusati di concentrare un potere assoluto nella scuola. In realtà il potere dei presidi è stato molto limitato, riguardava solo i nuovi docenti assunti.
Si condividesse o meno la riforma, diciamo che il governo non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. O si dava reale potere ai dirigenti scolastici di assumere i docenti, come avviene in Gran Bretagna, in concorso con il Consiglio di amministrazione, sulla base dei curricula, oppure si lasciava il sistema com’era e come vogliono i sindacati della scuola: assunzione sulla base del punteggio delle graduatorie. Questa riforma a metà ha scontentato tutti: i docenti per le ragioni suddette e anche i dirigenti che sono stati bersagliati, senza aver nessun riconoscimento economico, come pure promesso dalla legge 107,e con nessun vero potere, tanto è vero che quest’estate per protesta molti dei miei colleghi hanno rinunciato alla chiamata diretta, affidandosi alla tradizionale nomina dell’Ufficio scolastico.
Poi c’è stato l’algoritmo sbagliato utilizzato l’anno scorso per le nomine che ha mandato in altre regioni docenti con maggior punteggio di altri che con minor punteggio hanno avuto il posto vicino al luogo di residenza. E per ovviare a quest’errore, si è dato a tutti l’anno scorso l’opportunità di avere l’assegnazione o l’utilizzazione per avvicinarsi a casa, vanificando di fatto la chiamata diretta e cancellando uno dei meriti della Buona scuola che pure ce li ha: la continuità didattica per tre anni, evitando i trasferimenti dei docenti; e l’organico dell’autonomia con il potenziamento. Si valorizzino questi punti qualificanti della “107”, evitando il trasferimento e la possibilità di assegnazione provvisoria e utilizzazione dei docenti per 3 anni, guardando agli interessi degli studenti, a cui nessuno guarda perché non hanno sindacati a rappresentarli. E si decida una buona volta se cambiare sistema di reclutamento con la chiamata diretta o mantenere le nomine secondo punteggio di graduatoria. Nel primo caso il dirigente scolastico deve essere affiancato nella scelta dal Consiglio d’Istituto, anche per evitare responsabilità penali di scelte “soggettive”. Si sappia però che tratta però di sfidare tutti gli insegnanti che sono contrari. Se non si ha questo coraggio, se serve il consenso al PD degli insegnanti per le future imminenti elezioni, si torni allora al vecchio metodo, ma si imponga perlomeno il blocco triennale dei trasferimenti, per non cedere del tutto alle pretese corporative che non tutelano gli interessi generali.
Eugenio Tipaldi
Dirigente scolastico
martedì 12 settembre 2017
NON CONDIVIDO L’UTILIZZO DELLO SMARTPHONE IN AULA
Cara ministra Fedeli,
Lei, sdoganando l’’utilizzo dello smartphone a scuola, lo giustifica dicendo: “ Non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori dal mondo della scuola” parlando degli studenti.
Il problema –e Lei che è di sinistra dovrebbe saperlo- è che non sempre il mondo di fuori è portatore del buono: porta anche cattive idee e azioni, dipendenze nefaste…
A mio parere, quello dello smartphone è una delle dipendenze nefaste del nostro mondo attuale: distrae dallo studio, dall’attenzione, dal dialogo visu à visu, addirittura è causa, a volte, di omicidi stradali. Non voglio demonizzare lo strumento che pure è utile, ma molti incidenti automobilistici avvengono, oltre che per l’uso di droghe e di alcool, perché il guidatore si è distratto a guardare i messaggi sullo smartphone.
E noi che facciamo? Lo introduciamo a scuola come veicolo di studio, assecondando la dipendenza da questo strumento. Certo, Lei dice: “E’ uno strumento di apprendimento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata.” Il problema è che ,una volta sdoganato il suo utilizzo a scuola come mezzo lecito, sarà difficile per gli insegnanti discernere il suo uso improprio dal suo uso lecito.
La scuola non recupererà la motivazione degli studenti, accondiscendendo alle mode moderniste (computer, smartphone, ecc. ), né tornando arcaicamente indietro verso un passato che non c’è più.
Se rivoluzione ci deve essere nella scuola, è nell’innovazione dei metodi d’insegnamento: occorre ridimensionare la lezione frontale allo stretto necessario e dare spazio ai lavori creativi di gruppo. E questo il vero aggiornamento che si deve proporre agli insegnanti. Nei nuovi metodi educativi possono trovare spazio anche gli strumenti informatici. Ma lo smartphone no, lasciamolo fuori dell’aula.
Io mi sarei aspettato da lei un provvedimento anticonformista: una legge che vietasse di portare a scuola gli smartphone. Quando ci proviamo noi presidi e insegnanti a vietarne l’uso, ci viene contestato dalle famiglie che devono stare in contatto con i loro figli. Così al massimo s’impone agli alunni di tenerlo nello zaino spento. Ma quanti poi lo fanno e non lo prendono di nascosto o sfidando apertamente l’insegnante che rischia di essere accusato di aggressione se prova a sequestrarlo? Se Lei avesse vietato per legge il loro ingresso a scuola, i genitori non avrebbero potuto obiettare niente. Quanto al fatto di voler mantenere il cordone ombelicale con i loro figli, si può obiettare invece che noi siamo vissuti in un’epoca dove non esistevano i cellulari e non mi pare che siamo cresciuti male. I giovani di oggi rischiano di non avere una propria autonomia (troppo protezionismo da parte delle famiglie!) e senza autonomia non c’è vera crescita educativa.
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