martedì 30 maggio 2017

E SE IMITASSIMO LA SCUOLA FINLANDESE?

Visto che gli studenti finlandesi sono tra i più bravi a livello internazionale nei rapporti PISA, perché non provare a imitare la loro struttura scolastica? Innanzitutto la Finlandia non ha una differenza tra scuola primaria e scuola media, ma un’unica scuola obbligatoria che va dai 7 anni ai 16 anni. Come non ricordare il fallito tentativo del ministro Luigi Berlinguer di riformare la nostra scuola tentando di uniformare il settore della scuola di base? E anche il tentativo di far decollare la valutazione degli insegnanti per la cui massiccia opposizione dovette dimettersi? Ma le idee giuste, anche se sconfitte, ritornano a prima o poi a galla… Torniamo alla Finlandia. Libri di testo e mensa scolastica sono gratuiti per tutti gli anni dell’obbligatorietà. La nostra Costituzione prevede la gratuità dell’istruzione obbligatoria, ma è una norma che non viene attuata. E poi ci si lamenta della dispersione scolastica che è alta! Dobbiamo dare i mezzi ai più poveri per potersi istruire. Dopo la scuola obbligatoria, gli studenti finlandesi scelgono di andare o alla scuola secondaria superiore (corrispondente ai nostri licei) o alla scuola professionale superiore che dura 3 anni. Lo studio è libero, personalizzato e si danno pochi compiti a casa. Ma la novità introdotta recentemente è che si aboliscono le materie e si propone di studiare quelli che vengono chiamati “fenomeni” con metodo interdisciplinare, secondo quanto auspicava Edgar Morin che insiste nei suoi testi sull’unità del sapere che poi è anche unità uomo-mondo, uomo-natura e unità scienze umane- scienze della natura. Introdurre l’insegnamento interdisciplinare significa superare l’antiquata lezione frontale e separata per discipline; significa raccordarsi con l’attualità; significa anche utilizzare al meglio le nuove tecnologie infromatiche. Per Benedetto Vertecchi, “decano dei pedagogisti italiani “, non è copiando la Finlandia che si migliora il sistema scolastico italiano. Io penso che invece occorre rifarsi ai sistemi scolastici migliori e in Finlandia troviamo l’eccellenza. Quanto all’obiezione che non è abolendo le materie che si migliora, io distinguerei la scuola di base dalla scuola superiore. Nella scuola di base occorre presentare un sapere ancora unitario. Nella scuola superiore si va nella specializzazione delle discipline, come avviene anche all’università, senza dimenticare però mai l’unitarietà del sapere. Quando si dice giustamente che la scuola media è l’anello debole del nostro sistema scolastico, non si riflette mai abbastanza che aver introdotto nell’età pre-adolescenziale la frammentarietà delle discipline è un grosso errore psicologico e pedagogico. Sempre sulla Finlandia, ricordo che i docenti vengono ben pagati, hanno un ruolo sociale riconosciuto e quindi sono molto motivati. Stanno però più tempo a scuola per programmare, fanno corsi di recupero e socializzano tra di loro, che è poi quello che crea una comunità educante. Le scuole sono piccole e non megascuole come le si vuole attuare in Italia per risparmiare: quando gli studenti diventano più di 300 ,le si sdoppia e le si affida a due direzioni differenti. Infine è una scuola che non boccia, come auspicava don Milani, che adesso ipocritamente il MIUR si accinge a celebrare, senza però mettere in atto i suoi dettami, come è successo anche con la Montessori, i grandi pedagogisti che l’Italia ha avuto, ma riconosciuti solo a parole e mai nei fatti.Perciò la scuola italiana rimane sempre indietro.

lunedì 22 maggio 2017

LE RIVENDICAZIONI DEI DIRIGENTI SCOLASTICI

Una volta tanto, al di là delle appartenenze di bandiera, i dirigenti scolastici convergono nelle loro rivendicazioni. Contestano che a troppe responsabilità, corrisponde un misero stipendio. E’ la metà di quello che percepiscono gli altri dirigenti pubblici, senza che abbiano le stesse incombenze e con meno personale da dirigere. I dirigenti scolastici sono considerati dirigenti di seconda fascia, ma non trattati allo stesso modo degli altri. Ma non è la sola ingiustizia. Essa alberga anche al loro interno. Ai vecchi presidi, divenuti dirigenti ope legis, è stata riconosciuta la Ria, gli anni svolti da docenti; ai vicepresidi divenuti a furia di incarichi presidi, si è riconosciuta un’indennità speciale; ai vincitori di concorso non si riconosce né l’una né l’altra. Cosi’ per la stessa funzione, quest’ultimi percepiscono meno dei loro colleghi. I Presidi chiedono quindi la perequazione interna prima di tutto, tra di loro, e poi quella esterna, l’equiparazione con gli altri dirigenti pubblici. Sappiamo che il governo deve fare tagli con la prossima manovra economica e quindi tende a risparmiare. Si può fare però un’operazione a costo zero per riportare equità e giustizia. Si taglino gli alti stipendi degli altri dirigenti pubblici di seconda fascia e si dia in parti uguali a tutti, così si equiparano gli stipendi, senza un euro aggiuntivo che sia messo da parte del governo. Renzi con la legge 107/2015, la cosiddetta “Buona scuola”, aveva messo i dirigenti scolastici al centro del processo riformatore, promettendo loro maggiori responsabilità e maggiore stipendio, Invece ci sono state le maggiori responsabilità e i soldi non si sono visti. Il ministro Fedeli ha confermato l’impianto della 107.Ma se si vuole dare più poteri ai presidi e quindi dare loro maggiori incombenze e responsabilità, dalla chiamata diretta alla valorizzazione dei docenti, si deve dare anche una maggiore retribuzione. Altrimenti i presidi rifiuteranno le reggenze (ci devono nominare d’ufficio); rifiuteranno la chiamata diretta (nomineranno gli uffici scolastici),;rifiuteranno di rappresentare il Ministero nei processi, al posto dell’Avvocatura dello Stato o degli Uffici legali degli USR. Infine rifiuteranno di compilare il portfolio, non perché rifiutano di farsi valutare, ma perché vogliono una valutazione seria con una retribuzione seria. Sulla valutazione dei presidi, si gioca la futura partita della valutazione degli insegnanti. E’ questo che paventano i docenti quando ci dipingono come presidi-sceriffi. Un governo riformatore deve essere capace di fare anche cose impopolari. Se si ritiene giusto valutare i docenti, si devono dare maggiori poteri ai dirigenti scolastici, con tutto quel che ne consegue, checché ne dicano i sindacati dei docenti. Eugenio Tipaldi

venerdì 12 maggio 2017

LA QUESTIONE DEI VACCINI OBBLIGATORI A SCUOLA

Sulla questione dei vaccini obbligatori a scuola, confliggono due diritti: il diritto alla salute e il diritto all’istruzione. Quale deve prevalere? Secondo me, il diritto alla salute. Non vaccinando mio figlio, metto a rischio la salute degli altri bambini che vanno a scuola. La libertà che rivendico di non vaccinare i miei figli, già discutibile sul piano scientifico (come quella dei Testimoni di Geova che non fanno trasfusioni di sangue per motivi religiosi),confligge con la tutela della salute degli altri bambini. Quindi è giusto che lo Stato imponga l’obbligatorietà dei vaccini per frequentare la scuola dell’obbligo, com’era in passato d’altronde. Il ministro dell’Istruzione Fedeli teme l’incostituzionalità di tale obbligo e dichiara: ”Se una coppia di genitori non vuole vaccinare il figlio gli fai perdere l’anno? Lo costringi a iscriversi a una privata?” Appunto, sei libero di non vaccinare i tuoi figli, ma in questo caso li iscrivi alla scuola privata e paghi per la tua rivendicazione individuale di libertà, perché lo Stato ha l’obbligo di tutelare la salute degli altri bambini che frequentano la scuola. Non è un’imposizione autoritaria, come paventano alcune associazioni di genitori, ma un gesto di responsabilità sociale. Lo Stato ti riconosce la libertà di bere alcolici, ma non quella di guidare sotto l’effetto dell’alcol, perché metti a rischio la vita degli altri. Altro esempio, tra diritto del lavoro e diritto all’ambiente, se un’industria ,come l’ILVA di Taranto, mette a rischio per l’inquinamento che provoca la salute dei cittadini, che fai? Giustamente il giudice chiude la fabbrica perché prevale il diritto alla salute. In conclusione, sulla questione dei vaccini io sto con la ministra Lorenzin e non con la ministra Fedeli.

lunedì 8 maggio 2017

IL PORTFOLIO VUOTO

Secondo me c’è un fraintendimento dei sindacati della scuola circa le motivazioni della protesta dei dirigenti scolastici .E’ chiaro che la misura è colma e l’acqua comincia a traboccare dal vaso pieno. Non ce la facciamo più a reggere responsabilità e incombenze burocratiche ,senza che a ciò corrisponda una retribuzione giusta ed equa rispetto agli altri dirigenti pubblici che guadagnano il doppio di noi e hanno meno responsabilità. Siamo stanchi di essere i figli di un dio minore e i miei colleghi finalmente cominciano a ribellarsi, ad alzare la voce. Lo hanno capito anche i sindacati dei presidi di solito acquiescenti. Ma sia la quadriade (CGIL,CISL,UIL,SNALS) sia l’ANP stanno fraintendendo (volutamente o involontariamente?) le ragioni della protesta. Fanno capire che non vogliamo la valutazione perché uno dei punti di lotta portati avanti-leggo dai resoconti della quadriade- è “ l’abolizione della divisione in fasce dei dirigenti nell’ambito del processo valutativo, oltre che la ricaduta sulla retribuzione di risultato”. La stessa ANP, boicottando la compilazione del portfolio, fa capire che noi dirigenti non vogliamo la valutazione. E’ assolutamente falso. Noi la valutazione la vogliamo, ma vogliamo che essa sia legata a retribuzioni di risultati sostanziosi, come quelli degli altri dirigenti pubblici, e non alla miseria che ci vogliono dare (400 euro lordi mensili). Ci battiamo per la perequazione interna: è SCANDALOSO che dirigenti che svolgono la stessa funzione prendano stipendi diversi, perché ai vecchi presidi, divenuti ope legis dirigenti, è stata riconosciuta la RIA, cioè l’anzianità da professori, e i nuovi dirigenti che lo sono diventati per concorso e si spera per merito prendano di meno perché ad essi non è stata mai riconosciuta. Chiediamo anche la perequazione esterna: vogliamo cioé essere equiparati agli altri dirigenti pubblici e, se ci sono problemi di spesa, si dia meno a loro per livellare lo stipendio di tutti i dirigenti pubblici. Chiediamo però più potere per essere valutati, checché ne pensino gli insegnanti: vogliamo scegliere gli insegnanti della scuola che dirigiamo per poter rispondere dei risultati; vogliamo poterli sanzionare se sono incapaci (al momento, dopo le ultime sentenze possiamo solo rimproverarli e al massimo fare una censura scritta); vogliamo poter gestire liberamente le risorse programmandole insieme agli organi collegiali, perché si realizzi davvero l’autonomia scolastica che altrimenti è una chimera. Altro che presidi-sceriffi come ci hanno chiamati: la stella che ci aveva messo sul petto la legge 107, è stata subito tolta e buttata a terra! Per questi motivi, insieme ad altri colleghi di Dirgentiscuola, associazione minoritaria dei presidi, come viene presentata,ma combattiva, il 22 maggio mi incatenerò a Roma, davanti a Palazzo Montecitorio, e farò lo sciopero della fame e della sete. di Eugenio Tipaldi

sabato 6 maggio 2017

NON SONO I I PRESIDI A DEQUALIFICARE LA SCUOLA!

Tutti sono andati a scuola e tutti possono parlare di scuola. Ognuno perciò può avere la sua opinione personale su di essa. Non entro nel merito di quanto scrive l’ex procuratore generale Vincenzo Galgano nell’articolo intitolato “L’inutile scuola dei mediocri” apparso su Repubblica di Napoli sabato 6 maggio, commentando a sua volta un editoriale di Galli della Loggia sulla scuola pubblicato sul Corriere della Sera. Per chi è interessato alla mia opinione su questa questione, può leggere quanto scrivo nella mia pagina Facebook o sul mio blog http://scuolapubblicalaica.blogspot.it/ nel post intitolato “Bocciare o non bocciare, questo è il problema”, pubblicato anche sulle riviste on line Orizzonte Scuola e La tecnica della scuola. Il procuratore sposa la tesi dello storico Ernesto Galli della Loggia che accusa la scuola italiana di aver rinunciato a qualsiasi selezione di merito(il che è vero), dando la colpa però ai dirigenti scolastici che, per essere valutati positivamente, dovrebbero far promuovere tutti. Si fa riferimento al fatto che un professore è stato sanzionato da un dirigente scolastico perché metteva voti bassi e il giudice del lavoro ha dato ragione al docente (credo anch’io che il preside abbia sbagliato).Ma la questione non è questa. Il giudice in pensione Galgano scrive: “E’ questo il punto terminale della evoluzione italiana della funzione della scuola, che consente conservando il congruo numero di alunni, di disporre di risorse, ottenere (per i dirigenti scolastici) successi di carriera e giungere persino a fortune politiche.” Forse l’ex procuratore ci ha scambiato per magistrati. Non mi risulta che i miei colleghi abbiano fatto brillanti carriere e tantomeno a livello politico. Ce ne può essere qualcuno, ma non mi pare un delitto. Cosa si dovrebbe allora dire dei tanti magistrati che si buttano in politica? E diamo alcune informazioni esatte, da addetto ai lavori. Se si salva un congruo numero di alunni (non meno di 600), si mantiene l’autonomia dell’istituzione scolastica, altrimenti la si perde. E vengono aggregati più scuole insieme (siamo arrivati anche fino a 12 con un unico dirigente scolastico) per raggiungere la soglia minima, ma si possono avere anche fino a 1400 alunni. Quanto alle risorse, se si riferisce a quelle economiche, l’ex procuratore dovrebbe sapere, avendo fatto parte della pubblica amministrazione, che esse sono state sempre scarse. In quanto alla nostra valutazione, pur invocata, essa non c’è mai stata, se non in maniera sperimentale, e non ha mai dato luogo a incrementi economici. Purtroppo, per attaccare la legge sulla “Buona scuola”, c’è stata una campagna denigratoria da parte dei sindacati della scuola contro i dirigenti scolastici e all’ex procuratore deve essere arrivato qualche eco di questa polemica. Ci hanno chiamati presidi-sceriffi criticando il fatto che avevamo un enorme potere e invece i nostri poteri sono molto, molto limitati. Non possiamo scegliere gli insegnanti, solo un manipolo di neoassunti. Non li possiamo sanzionare, se sono incapaci: possiamo fare solo un rimprovero e una censura scritta al massimo. Abbiamo la metà dello stipendio di qualsiasi altro dirigente pubblico. In compenso abbiamo una serie di incombenze e responsabilità, come nessun altro dirigente della pubblica amministrazione. Possiamo anche andare in galera, se non stiamo attenti, perché un edificio non è a norma, sebbene l’adeguamento sismico degli edifici scolastici spetti agli enti pubblici e allo Stato. Per questi motivi, il 22 maggio m’incatenerò a Roma, davanti al palazzo di Montecitorio, insieme ad altri miei colleghi, e farò lo sciopero della fame e della sete. Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “D’Aosta-Scura” di Napoli Con preghiera di pubblicazione e diritto di replica, perché si configura un reato di diffamazione contro i dirigenti scolastici.

giovedì 4 maggio 2017

BOCCIARE O NON BOCCIARE,QUESTO E' IL PROBLEMA

Bocciare sì, bocciare no. Il problema non è così netto come sembra, ma vanno fatti dei distinguo. Altrimenti non si sa a chi dar ragione: a chi dice che senza bocciatura non c’è crescita formativa o a chi dice che la scuola deve farsi carico delle masse povere. Il dibattito nasce da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che accusa la scuola di non selezionare e di promuovere tutti, anche sulla scorta di quanto dice un professore pugliese che è stato prima sospeso dal dirigente scolastico perché metteva voti bassi e poi riabilitato dal giudice. Il suo assunto è: “Se tutti gli studenti avessero i voti che meritano non verrebbe promosso più del 20 per cento». Galli della Loggia contesta l’ideologia dell’ “inclusione” che è diventato uno degli obiettivi primari della scuola e assevera che i dirigenti scolastici spingono per le promozioni perché vengono valutati sulla base del numero dei promossi. Tutto questo sarebbe imposto dalle disposizioni ministeriali. Allora, cominciamo a fare il primo distinguo: è giusto non bocciare, secondo me, nella scuola di base (scuola primaria e scuola secondaria di I grado o scuola media che dir si voglia). La scuola che non porta ai livelli minimi di competenza linguistica e scientifico-matematica tutti gli alunni è una scuola da bocciare. E’ giusta quindi la disposizione ministeriale di non bocciare alle elementari se non in casi eccezionali. Io estenderei questa disposizione anche alla scuola media, che è un’età critica per i ragazzi. Un insuccesso, a questa età, può portare anche al suicidio e mina l’autostima. Qualcuno obietta: ma allora che senso ha l’esame di licenza media? Infatti, così com’è, non ha senso: va semplicemente abolito perché inutile. Altra obiezione: se gli alunni sono comunque promossi, perché devono faticare a studiare? Alle medie va introdotto il principio di responsabilità. Chi ha delle lacune, dovrà recuperarle partecipando obbligatoriamente a progetti di recupero pomeridiani o estivi. La selezione(severa) deve avvenire alle superiori. Qui ha ragione lo storico Galli della Loggia a dire che la scuola è diventata troppo permissiva e non seleziona più, ma sbaglia bersaglio. Il problema non è l’obiettivo (sacrosanto) dell’inclusione o la spinta dei presidi a promuovere. L’ideologia perversa che ha creato problemi alla scuola superiore e l’ha livellata verso il basso, è quella di aver dato la possibilità a tutti di scegliere liberamente il proprio percorso scolastico, senza tener conto delle proprie attitudini e del giudizio d’ammissione da parte degli insegnanti, con il fraintendimento che così si dà opportunità a tutti per il successo formativo. Occorre introdurre un sistema di orientamento che spinga i ragazzi a percorsi differenziati già alle medie. La media unificata, che viene glorificata come grande traguardo democratico del centrosinistra (1962), è stata, secondo me ,un grosso errore. Si è pensato di portare tutti al liceo e all’università e ci troviamo con laureati che non sanno scrivere e non conoscono la storia. Si è pensato che tutti potessero andare all’università e abbiamo in Europa una delle percentuali più basse di laureati. Altro errore è stato estendere l’obbligo d’istruzione a 16 anni e abbiamo una dispersione scolastica dai 14 ai 16 anni spaventosa. Ancora più grave sarebbe estendere l’obbligo d’istruzione, come alcuni auspicano, a 18 anni. Altra cosa è l’obbligo formativo che deve valere per tutti. Ma dove sta scritto che devono diventare tutti laureati o sfaccendati o sottoccupati (perché alla laurea ormai non corrisponde il lavoro che si addice) e dobbiamo appaltare agli stranieri il lavoro di muratore, falegname, elettricista, fabbro, idraulico, cameriere. Non è una discriminazione questa? Perché il lavoro manuale deve esser considerato inferiore al lavoro intellettuale? Una sinistra che in passato faceva della classe operaia il perno della sua rivoluzione, ha svalutato poi nelle proposte che fa sulla scuola quel lavoro manuale che pure esaltava. E’ un paradosso, ma è un paradosso che non si può sciogliere abolendo il titolo legale della laurea, cioè svalutandola. Occorre recuperare la selezione in senso orientativo e non è detto che il figlio del povero debba necessariamente esser portato al lavoro manuale e il figlio del ricco al liceo. E’ più facile , con il sistema vigente, che ,non dando una prospettiva di lavoro a chi non ha niente, lo si conduca nelle braccia della criminalità che almeno un lavoro lo offre. Il grosso problema della scuola italiana, per ridarle credibilità e rispetto, è quindi ridare allo studio e alla formazione una prospettiva di lavoro, a meno che non si pensi che il futuro ci porti all’abolizione del lavoro in quanto verrà svolto dai robot. In quest’ultimo caso, lo studio diventerebbe solo una passione in senso umanistico e avrebbe valore solo per chi vuole coltivarlo. Ognuno sarebbe libero di studiare o meno. Come mangiare però, senza lavorare, sarà il problema del futuro(ma già per molti è quello del presente).