domenica 24 dicembre 2017

LA SCUOLA COSI’ COME E’ FATTA E’ INADEGUATA PER GLI ALUNNI CHE L’ABBANDONANO

Come con i supermercati aperti 24 ore su 24, adesso si chiede alle scuole di rimanere aperte nelle vacanze di Natale, di Pasqua e d’estate. Coloro che vedono la scuola da lontano e dall’alto (leggi ministri, sottosegretari, politici in genere, funzionari del Ministero, pedagogisti universitari) dicono che serve a combattere la dispersione scolastica. Idiozia: chi non viene a scuola normalmente, non verrà di pomeriggio né tantomeno durante le vacanze. Ci sarebbe da ridere, se, purtroppo, il fenomeno della dispersione scolastica non fosse tragico: chi non viene a scuola, è a rischio di essere sfruttato nel lavoro nero o di far parte di una baby-gang. Il fenomeno, però, non si combatte con le solite belle parole ripetute a iosa:” Per combattere la mafia, serve un esercito di maestri elementari” rievocando quanto detto dallo scrittore Gesualdo Bufalino. Due episodi avvenuti a Napoli, fanno riflettere: l’aggressione feroce e gratuita al diciassettenne Arturo in via Foria; l’asportazione dell’albero di Natale dalla galleria Umberto I e ritrovato ai Quartieri Spagnoli. Qui c’è la barbara usanza medioevale di bruciare il 17 gennaio i falò dedicati a sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Poteva essere un esempio di riciclo :si raccoglievano abeti secchi, buttati dopo le vacanze natalizie, e li si bruciava. Il problema è che adesso vengono tagliati con le seghe elettriche alberi vivi, come è accaduto a Largo Montecalvario e alla galleria Umberto I. Il problema è che vengono bruciati in vicinanza delle abitazioni e-temo- quest’anno a piazza Montecalvario, con il pericolo di bruciare la vicina scuola “Paisiello”, la vicina Chiesa di Concezione a Montecalvario e il solaio della Metropolitana. Quando ho parlato di questo rischio con un ispettore della polizia e gli ho chiesto di mandare una volante quella notte a sorvegliare, ho letto in lui- mi sono sbagliato ?- una certa rassegnazione. Proprio di questo non abbiamo bisogno a Napoli: non dobbiamo rassegnarci alla barbarie, dobbiamo avere il coraggio di denunciare, di non considerare queste cose delle “bravate” di ragazzini. Oggi ti taglio l’albero e domani ti ficco un coltello alla gola. Non c’è una conseguenza diretta tra le due azioni, ma la piccola illegalità tollerata porta a un’illegalità più grande. Lo dico da dirigente scolastico di una scuola ubicata nei Quartieri Spagnoli, dove pure ho deciso di rimanere, nonostante i problemi: l’educazione per questi ragazzi fallisce, non riesce a incidere, non perché non ci siano bravi maestri e bravi professori, ma perché la scuola così come è fatta per questi ragazzi è inadeguata. Per loro servirebbe una scuola che li orienti a un mestiere, a una professione. La scuola pseudoegualitarista, che vuole mandare tutti al liceo (obbligo a 18 anni?) o all’università, è una scuola che in realtà allontana questi ragazzi, la fa sentire un obbligo inutile .Se non facciamo intravedere un futuro diverso a questi ragazzi, ce li ritroveremo per strada a scippare, a spacciare droga, a sparare. E non stiamo vedendo una fiction purtroppo! Eugenio Tipaldi

mercoledì 29 novembre 2017

SONO CONTRARIO ALLA SCUOLA SUPERIORE DI 4 ANNI

La sperimentazione dei licei a 4 anni prelude, nel prossimo governo evidentemente, al taglio di un anno delle superiori, con tutte le conseguenze delle perdite di cattedra. Oltre al danno agli alunni che devono svolgere un orario anche pomeridiano per recuperare i programmi compressi da 5 a 4 anni, c’è la beffa agli insegnanti e al personale scolastico che viene ridotto. La fisarmonica del potere fa sì che una volta si allargano i cordoni (vedi immissione in ruolo di 100000 precari) e una volta li si stringe. Per far sì che i nostri giovani studenti si diplomino a 18 anni e non a 19 ,come avviene oggi, ho già detto in altra occasione che c’è una soluzione indolore: cominciare la I elementare a 5 anni. L’eventuale perdita di sezioni a 5 anni della scuola dell’infanzia dovrebbe essere compensata nel rendere obbligatoria la stessa per i bambini di 3 e 4 anni. Ma sospetto che dietro la necessità di far diplomare i nostri studenti a 18 anni, tagliando le superiori, si nasconde la volontà di far cassa. Inoltre la mia proposta non passerà mai perché danneggerebbe le scuole paritarie che fanno la primina a 5 anni e non sia mai: esse non devono perdere, lo può solo la scuola statale! Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

martedì 14 novembre 2017

il coraggio dei giovani e l'ipocrisia dei vecchi come Crepet

E’ difficile parlare male di un luminare della psichiatria qual è Paolo Crepet, ma leggendo il commento al suo libro ultimo pubblicato “Il coraggio”, apparso su “Orizzontescuola”,non posso fare a meno di rilevare come addetto ai lavori che stavolta, contrariamente al solito, il professore ha sfoderato una serie di luoghi comuni che da lui non mi sarei aspettato. Egli dice: “Una scuola che non boccia è una scuola marcia”. Si vede che come tutti quando invecchiano , si ha nostalgia dei tempi andati. Ma Crepet conosce bene il testo di don Milani “Lettera a una professoressa”. Il priore domandava alla professoressa che bocciava: chi viene bocciato? E rispondeva: il figlio del contadino, il figlio dell’operaio, cioè i figli delle famiglie povere, dove non c’erano libri e non c’erano soldi. E invece di aiutarli, che si faceva? Li si bocciava, li si espelleva dalla scuola. La proposta di non bocciare deriva quindi dalla necessità di non penalizzare ulteriormente, come prevede la nostra Costituzione, chi è già svantaggiato, almeno per la scuola dell’obbligo. La scuola finlandese, che risulta nelle statistiche OCSE un’ottima scuola, per esempio non boccia e progetta per chi è in difficoltà percorsi di recupero. L’esperienza “mistica” del 4 in matematica la lascerei perciò al figlio del benestante e comunque alle superiori. Se il 99% degli studenti viene promosso all’esame di maturità, è perché quel diploma ormai non ha più valore , come anche la laurea, per trovare un lavoro. La selezione avviene spietatamente dopo nella società e purtroppo per noi, la nostra società non premia il merito, ma solo gli amici degli amici. Chi ha conoscenze, va avanti. Chi vuole valorizzare il proprio merito, deve recarsi per forza all’estero. E’ fuorviante dire che i nostro giovani non vogliono andare all’estero: sta succedendo esattamente il contrario. E se altri giovani preferiscono rimanere in Italia, pur senza lavoro, perché legati alla famiglia e alla propria città, non è certamente colpa loro: la colpa è di chi non offre loro la possibilità di un lavoro decente che gli faccia costruire il proprio futuro. Ci vuole coraggio a non vedere che noi vecchi , per conservare il nostro potere, stiamo tarpando le ali alle giovani generazioni e dare la colpa ai genitori troppo protettivi. L’ iperprotettività di questi genitori-errata perché non favorisce l’autonomia dei figli ed è diseducativa- nasce dalla paura del mondo esterno dove non vigono più regole e si inseguono falsi miti e false libertà. E’ una società dove si sta perdendo il senso della comunità e dove prevale il narcisismo individualista e/o nazionalista. Ma questo è dovuto allo sviluppo attuale della società e non è colpa né degli individui né delle famiglie. Il vero problema è:si può immaginare un percorso sociale e culturale diverso? Eugenio Tipaldi dirigente scolastico

mercoledì 25 ottobre 2017

CONTRO L'ESTENSIONE DEI PON ALLE SCUOLE PARITARIE

Non paghi di ricevere soldi pubblici dallo Stato oltre che dai privati,le scuole paritarie adesso bussano alle porte dello Stato e dell'Europa anche per i PON per ricevere altri finanziamenti.La filosofia di fondo ,ideata da Luigi Berlinguer e sposata dal sottosegretario all'Istruzione Toccafondi,è che le paritarie assolvono ad una funzione pubblica,cioé le scuole private suppliscono a una mancanza di scuole pubbliche. Sarà pur vero, ma ricordo che la Costituzione Italiana dà sì libertà di istituire scuole private, "ma senza oneri per lo Stato". Il problema è che ciò che si dà alle scuole private, si toglie alle scuole statali, stante i i ristretti finanziamenti pubblici alle scuole.Questa è la verità. E ce lo dice la condizione delle scuole pubbliche insicure nelle strutture che ospitano gli alunni e tante altre carenze che i genitori conoscono bene, perché costretti a comprare la carta igienica,i rotoloni di carta e quant'altro.

mercoledì 18 ottobre 2017

APPELLO PER UNA LEGGE CHE ASSOLVI PRESIDI E INSEGNANTI DALL’OBBLIGO DI VIGILANZA FUORI DALLA SCUOLA

Oltre alla responsabilità sulla sicurezza della scuola, incombe sui dirigenti scolastici anche l’incombenza dell’affidamento dei minori. Dopo la sentenza della Cassazione che ha condannato la scuola per mancata vigilanza fuori della scuola in seguito alla morte di un alunno undicenne investito da un bus, presidi e insegnati sono giustamente preoccupati. Ma se un genitore mi dice che non può venire a prendere il minore perché lavora o per altri motivi, non ha altre persone cui delegare il prelevamento oppure c’è ma è un altro minore un po’ più grande, cosa deve fare un dirigente scolastico? Chiama ogni volta la polizia o i carabinieri come ha fatto qualche mio collega? O i vigili (se vengono), come si fa a Nocera Inferiore? La scuola ha in affido i minori ma una volta che sono usciti da scuola è responsabilità dei genitori venire o o non venire a prenderli. Perché devo rispondere io preside o io insegnante dell’ultima ora delle manchevolezze del genitore che insiste per far uscire autonomamente il figlio? Il Parlamento deve assolutamente deliberare in merito, perciò ho firmato la petizione di legge che è stata presentata per abolire il reato di abbandono di minori per la normale attività autonoma dei bambini e dei ragazzi. I sindacati della scuola ci appoggino in questa battaglia (una volta tanto, non si tratta di far sborsare soldi da parte dello Stato, ma solo di fare una legge ragionevole).E anche la ministra Fedeli, così sensibile, ci dia una mano.

martedì 17 ottobre 2017

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO ALL’ITALIANA: UNA CAVOLATA!

Un altro punto da abolire tout court della Buona Scuola (l’altro punto da abolire è la chiamata diretta, come ho spiegato in un precedente commento), è l’alternanza scuola-lavoro. Ho letto con attenzione la difesa d’ufficio che ne ha fatto Simona Malpezzi sul giornale online “Democratica”. Intanto non c’entra niente l’alternanza con il problema della dispersione scolastica. Poi non è vero che tale alternanza ricalca il sistema tedesco che prevede un sistema duale. I licei preparano al percorso universitario; i tecnici e i professionali dovrebbero portare a un percorso professionale subito dopo il diploma. E’ qui che andrebbero concentrate le risorse, le disponibilità, le relazioni con le imprese e l’artigianato. E’ qui che la scuola italiana è manchevole. E’ qui il vulnus, il punto debole! Che mi significa che al liceo classico vado a fare esperienza nei call center? Non parliamo per favore di orientamento. Alle medie, anello debole del nostro sistema scolastico, se si vuole davvero introdurre il sistema tedesco, vanno selezionati gli alunni che dovranno fare un percorso professionalizzante e quelli che vanno al liceo. Se innalzo l’obbligo d’istruzione a 16 anni o addirittura come pare si voglia fare a 18 anni, è chiaro che hai la dispersione scolastica degli alunni che non amano studiare nel senso tradizionale del termine (lo studio teorico). Diverso è se gli dai l’opportunità di continuare gli studi per imparare un lavoro e gli offri un percorso più pratico. La teoria non è mai separata dalla pratica, ma non siamo tutti uguali: c’è chi è portato più per gli studi che una volta si sarebbero detti contemplativi e chi è incline al fare, all’operare. Gardner ce l’ha insegnato: le intelligenze sono differenti. Questo non significa che la pratica è meno dignitosa della teoria,anzi. L’alternanza scuola-lavoro all’italiana non ha senso: è una perdita di tempo, è uno sfruttamento come hanno denunciato gli studenti, è una cavolata. Aboliamola, per favore! Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

mercoledì 27 settembre 2017

DOVE IL PD HA SBAGLIATO SULLA SCUOLA

Nel suo libro recentemente pubblicato Renzi ammette che qualcosa nella riforma della scuola il PD ha sbagliato, anche se non sa dire bene su che cosa, imputando gli errori a una sbagliata comunicazione.. Valeria Fedele, il ministro dell’Istruzione, alcuni giorni fa riferisce:“ Non si può avere investito risorse e assunto 100mila persone e avere tutto il mondo della scuola contro: evidentemente qualcosa dobbiamo aver sbagliato. Io penso che una delle ragioni è che quando si vogliono fare cambiamenti, bisogna coinvolgere gli interlocutori con un confronto vero sugli obiettivi e sulla qualità della proposta. Nel momento in cui tu condividi l’obiettivo è molto più facile trovare i punti di sintesi”. In verità il PD ha provato a coinvolgere all’inizio della riforma i docenti e quindi il problema non è stato il mancato coinvolgimento degli interlocutori o l’errata comunicazione. La riforma Giannini, oltre ad assumere centomila insegnanti, ha tentato di modificare il reclutamento degli stessi, facendoli chiamare direttamente dai dirigenti scolastici (la cosiddetta chiamata diretta), avendo contro tutti i sindacati della scuola, tranne quelli dei dirigenti scolastici, che si sono beccati l’accusa di diventare “sceriffi”, cioè sono stati accusati di concentrare un potere assoluto nella scuola. In realtà il potere dei presidi è stato molto limitato, riguardava solo i nuovi docenti assunti. Si condividesse o meno la riforma, diciamo che il governo non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. O si dava reale potere ai dirigenti scolastici di assumere i docenti, come avviene in Gran Bretagna, in concorso con il Consiglio di amministrazione, sulla base dei curricula, oppure si lasciava il sistema com’era e come vogliono i sindacati della scuola: assunzione sulla base del punteggio delle graduatorie. Questa riforma a metà ha scontentato tutti: i docenti per le ragioni suddette e anche i dirigenti che sono stati bersagliati, senza aver nessun riconoscimento economico, come pure promesso dalla legge 107,e con nessun vero potere, tanto è vero che quest’estate per protesta molti dei miei colleghi hanno rinunciato alla chiamata diretta, affidandosi alla tradizionale nomina dell’Ufficio scolastico. Poi c’è stato l’algoritmo sbagliato utilizzato l’anno scorso per le nomine che ha mandato in altre regioni docenti con maggior punteggio di altri che con minor punteggio hanno avuto il posto vicino al luogo di residenza. E per ovviare a quest’errore, si è dato a tutti l’anno scorso l’opportunità di avere l’assegnazione o l’utilizzazione per avvicinarsi a casa, vanificando di fatto la chiamata diretta e cancellando uno dei meriti della Buona scuola che pure ce li ha: la continuità didattica per tre anni, evitando i trasferimenti dei docenti; e l’organico dell’autonomia con il potenziamento. Si valorizzino questi punti qualificanti della “107”, evitando il trasferimento e la possibilità di assegnazione provvisoria e utilizzazione dei docenti per 3 anni, guardando agli interessi degli studenti, a cui nessuno guarda perché non hanno sindacati a rappresentarli. E si decida una buona volta se cambiare sistema di reclutamento con la chiamata diretta o mantenere le nomine secondo punteggio di graduatoria. Nel primo caso il dirigente scolastico deve essere affiancato nella scelta dal Consiglio d’Istituto, anche per evitare responsabilità penali di scelte “soggettive”. Si sappia però che tratta però di sfidare tutti gli insegnanti che sono contrari. Se non si ha questo coraggio, se serve il consenso al PD degli insegnanti per le future imminenti elezioni, si torni allora al vecchio metodo, ma si imponga perlomeno il blocco triennale dei trasferimenti, per non cedere del tutto alle pretese corporative che non tutelano gli interessi generali. Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

martedì 12 settembre 2017

NON CONDIVIDO L’UTILIZZO DELLO SMARTPHONE IN AULA

Cara ministra Fedeli, Lei, sdoganando l’’utilizzo dello smartphone a scuola, lo giustifica dicendo: “ Non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori dal mondo della scuola” parlando degli studenti. Il problema –e Lei che è di sinistra dovrebbe saperlo- è che non sempre il mondo di fuori è portatore del buono: porta anche cattive idee e azioni, dipendenze nefaste… A mio parere, quello dello smartphone è una delle dipendenze nefaste del nostro mondo attuale: distrae dallo studio, dall’attenzione, dal dialogo visu à visu, addirittura è causa, a volte, di omicidi stradali. Non voglio demonizzare lo strumento che pure è utile, ma molti incidenti automobilistici avvengono, oltre che per l’uso di droghe e di alcool, perché il guidatore si è distratto a guardare i messaggi sullo smartphone. E noi che facciamo? Lo introduciamo a scuola come veicolo di studio, assecondando la dipendenza da questo strumento. Certo, Lei dice: “E’ uno strumento di apprendimento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata.” Il problema è che ,una volta sdoganato il suo utilizzo a scuola come mezzo lecito, sarà difficile per gli insegnanti discernere il suo uso improprio dal suo uso lecito. La scuola non recupererà la motivazione degli studenti, accondiscendendo alle mode moderniste (computer, smartphone, ecc. ), né tornando arcaicamente indietro verso un passato che non c’è più. Se rivoluzione ci deve essere nella scuola, è nell’innovazione dei metodi d’insegnamento: occorre ridimensionare la lezione frontale allo stretto necessario e dare spazio ai lavori creativi di gruppo. E questo il vero aggiornamento che si deve proporre agli insegnanti. Nei nuovi metodi educativi possono trovare spazio anche gli strumenti informatici. Ma lo smartphone no, lasciamolo fuori dell’aula. Io mi sarei aspettato da lei un provvedimento anticonformista: una legge che vietasse di portare a scuola gli smartphone. Quando ci proviamo noi presidi e insegnanti a vietarne l’uso, ci viene contestato dalle famiglie che devono stare in contatto con i loro figli. Così al massimo s’impone agli alunni di tenerlo nello zaino spento. Ma quanti poi lo fanno e non lo prendono di nascosto o sfidando apertamente l’insegnante che rischia di essere accusato di aggressione se prova a sequestrarlo? Se Lei avesse vietato per legge il loro ingresso a scuola, i genitori non avrebbero potuto obiettare niente. Quanto al fatto di voler mantenere il cordone ombelicale con i loro figli, si può obiettare invece che noi siamo vissuti in un’epoca dove non esistevano i cellulari e non mi pare che siamo cresciuti male. I giovani di oggi rischiano di non avere una propria autonomia (troppo protezionismo da parte delle famiglie!) e senza autonomia non c’è vera crescita educativa.

giovedì 20 luglio 2017

Lettera aperta alla ministra dell’Istruzione VALERIA FEDELI

Illustre Signora Ministra, leggo che intende portare l’obbligo scolastico a 18 anni. Il proposito è lodevole, ma si corre il rischio di aumentare la percentuale della dispersione scolastica, già molto alta in alcune zone del Paese. Non è elevando l’età dell’obbligo da 16 a 18 anni, infatti, che si risolve il problema dell’abbandono scolastico. A parte che non c’è attualmente, per abrogazione di alcune leggi, nessuna sanzione o reato per i genitori degli alunni che evadono la scuola, se non alle elementari, non è con la repressione che si risolve il problema. Le parlo da un avamposto di frontiera, i Quartieri Spagnoli di Napoli (lei è stata allo Zen di Palermo), e le dico con cognizione di causa che gli alunni della mia scuola a stento prendono la terza media. Se frequentano le superiori, lo fanno per vedere l’effetto che fa. E l’effetto è una sicura bocciatura che fa sconsigliare il prosieguo. E se non lo capisce ancora, c’è anche la seconda bocciatura che stronca ogni speranza. Ecco le vere cause della dispersione scolastica! La soluzione sta, secondo me, nell’ orientare già gli alunni della scuola media in un sistema duale, come avviene in Germania: separare gli alunni che sono portati per il liceo e che continueranno gli studi dagli alunni che faranno un percorso professionalizzante per imparare un mestiere. Si dirà che è discriminante e ci riporta a prima della riforma della scuola media unificata del 1962, quando c’era la scuola media e la scuola dell’avviamento. A posteriori, di deve dire che quella riforma è fallita. Gli alunni demotivati impediscono lo studio a quelli che vogliono proseguire gli studi. Questi alunni vengono bocciati, sospesi dalle lezioni, incrementando la loro rabbia contro la scuola e le istituzioni in generale che li respingono. Diventano facile preda per essere arruolati nella criminalità organizzata o per essere sfruttati nel lavoro nero. Non è meglio allora per questi ragazzi, che li si faccia fare un percorso differenziato, triennale dopo la scuola media, che gli insegni un mestiere, piuttosto che proporre loro un itinerario fintamente egualitario che essi rifiutano? Questa è la vera alternativa alla strada e si offre una possibilità di riscatto a questi ragazzi a cui non piace lo studio e la scuola così come è fatta. Nello stesso tempo si dà la possibilità agli altri alunni di studiare per il proseguimento al liceo e all’università, senza essere continuamente disturbati da chi non è interessato a quello studio ritenuto astratto. Si farebbero dei test iniziali, alla fine della quinta elementare, per indirizzare gli alunni ai due diversi tipi di scuola. E non è detto che i figli dei poveri non possano andare al liceo, se hanno dimostrato la volontà di studiare, che si manifesta già nella scuola primaria. Questo finto egualitarismo del siamo tutti eguali, finisce, proprio perché non lo siamo eguali per le condizioni socio-economiche di partenza, per discriminare: alunni di fatto respinti dalla scuola ed emarginati, a cui non sé dato nessuna possibilità né di studiare né di poter lavorare onestamente. Le rinnovo l’invito a venire alla mia scuola, la “D’Aosta-Scura”, per farle vedere di persona la realtà che viviamo. Tullio De Mauro, quand’era professore, venne a trovarci, dopo che era stato allo Zen. Faccia anche Lei lo stesso percorso: Le regalerò il libro da me scritto a mie spese “Il Preside dei Quartieri Spagnoli. Dalla riforma Gelmini alla riforma Giannini”. Potrebbe avere degli spunti per rialzare le sorti del povero Renzi, che attualmente è inviso, per ragioni diverse, da tutto il personale della scuola.

domenica 16 luglio 2017

E SE I PRESIDI MINACCIASSERO, INSIEME A TUTTO IL PERSONALE SCOLASTICO, DI NON RIAPRIRE LE SCUOLE A SETTEMBRE?

Aggiungetemi ai 400 presidi e più che hanno rinunciato alla chiamata diretta per una «situazione ormai insostenibile», sia per la retribuzione «non proporzionale al nostro carico di lavoro e responsabilità», sia per le «inadeguate condizioni di sicurezza delle scuole», che «per «le continue molestie burocratiche». Aggiungo che per senso di responsabilità, invece,lavorerò anche a casa per incentivare il merito e dare agli insegnanti ritenuti “migliori ” un piccolo premio economico. Pare che vogliano dare a noi dirigenti scolastici, dopo tante proteste, un aumento di 50 euro lorde che diventano 20 euro lorde, con la beffa che il nostro stipendio diminuirà, per motivi tecnici che non sto qui a spiegare. E’ inutile che le lamentele si rivolgono alla ministra Fedeli, perché chi decide è il ministro delle Finanze e nella spending review non ci sono tagli ai privilegi e agli sperperi, ma tagli alla scuola che pure viene ritenuta a parole dai politici (prima delle elezioni!) un settore importante per la crescita del paese. L’OCSE ha per esempio criticato lo stipendio stratosferico dei dirigenti pubblici. Naturalmente non siamo noi, i dirigenti pubblici peggio pagati! Forse ci ha svantaggiato la troppa responsabilità che abbiamo avuto nel dirigere le scuole. Pensate ai professori universitari che hanno minacciato di non svolgere le lezioni in autunno, se non aumentano il loro stipendio. Saranno accontentati. E se minacciassimo, insieme a tutto il personale scolastico che è tartassato come noi, di non riaprire le scuole a settembre?

martedì 4 luglio 2017

LE SFORBICIATE SUL PERSONALE ATA

L a situazione finanziaria del Paese è messa piuttosto male se si pensa di risparmiare sul personale della scuola, al di là dei riconoscimenti professionali della Ministra per l’Istruzione (3000 euro per gli insegnanti?) o del Papa. Leggo che ci sarà una riduzione di 2020 posti per il personale ATA prevista dalla Finanziaria del 2015 e nessuno si è preoccupato di abrogare questa norma. Forse non è chiaro che le segreterie scolastiche sono al limite del collasso e non ce la fanno più a sostenere i gravami imposti dalla burocrazia, comprese le indagini a tappeto di ogni tipo che chiedono dati statistici e ultimo la formulazione delle graduatorie dei docenti. Forse non è chiaro che i bidelli o collaboratori scolastici che dir si voglia, sono una risorsa importante per la scuola ,non solo per le pulizie, ma anche per la vigilanza, specie in contesti di scuole situate in aree a rischio. Ancora una volta si sottovaluta questo aspetto facendo tagli lineari, senza considerare dove c’è più il bisogno. Una cosa è tagliare bidelli in una scuola a Capri e una cosa è tagliare bidelli ai Quartieri Spagnoli, per limitarci a due esempi della provincia di Napoli. Altro errore è non prevedere assistenti tecnici nella scuola del primo ciclo. Si parla tanto di scuola digitale e si sottovaluta il fatto che c’è bisogno di manutenzione continua dei nuovi strumenti informatici, altrimenti diventano inservibili. Si sprecano risorse per formazioni inutili , s’inventano “snodi formativi “ di tutti i tipi, solo per far guadagnar i soliti noti. Quindi non è vero che non ci sono soldi: li si impiega in maniera sbagliata, per non dire altro. Eugenio Tipaldi

domenica 18 giugno 2017

PERCHE’ SONO CONTRO IL PRESIDE ELETTIVO

Periodicamente ritorna il tema del preside elettivo, già caldeggiato dalla Gilda.. Scrive Reginaldo Palermo in Tecnica della scuola: “Il conflitto docenti/dirigenti scolastici sembra ormai ad un punto di non ritorno, almeno se si deve prestare fede a ciò che si legge in rete. Non passa giorno senza che nei social si leggano commenti pesanti - talora ai limiti della diffamazione - nei confronti della categoria dei dirigenti scolastici.” Ma non è con il preside elettivo che si risolve il conflitto. Occorre che il preside sia super partes e non prius inter pares, perché in tutte le organizzazioni, non solo in quella scolastica, vi è la necessità di autorità e di leadership. La contrarietà all’elezione deriva non tanto dal selezionare le competenze per concorso ,perché – come scrive Pasquale Almirante sempre in Tecnica della scuola- quelle si possono trovare anche senza concorso. Il problema è che l’elezione del preside fa venir meno l’imparzialità,; significa scendere a compromessi con gli “elettori” che non possono essere delusi, una volta che ti hanno dato il voto. Chi si ricorda di quando il vicepreside era elettivo e c’erano gli scontri tra i docenti per candidarsi alla carica, sa di cosa parlo. Se ti mostravi poco duttile nel concedere certi “favori”, non si era più eletti. Si dirà: ma noi proponiamo un preside che viene eletto una sola volta, con scadenza di cinque anni. E’ ancora peggio, perché si cristallizzeranno difetti che quando uno è eletto magari non sono emersi. Il contratto di un dirigente scolastico, invece, scade dopo tre anni, alla fine dei quali c’è una valutazione da parte di un organismo esterno che gli può confermare l’incarico o meno. Vi immaginate ,poi, il preside “eletto” che valuta i docenti che lo hanno eletto? A meno che non si è contro la valutazione dei docenti, quindi non è con la semplificazione di un preside elettivo che si sciolgono i nodi. Piuttosto la soluzione sta nel creare un “middle management”, un corpo intermedio di docenti che aiuti il dirigente scolastico, riconoscendo una carriera agli insegnanti. E per mantenere la democrazia della scuola ( senza che il preside diventi un autocrate), occorre che ci sia un bilanciamento dei poteri tra dirigenza scolastica, collegio dei docenti e consiglio d’istituto. Eugenio Tipaldi

martedì 13 giugno 2017

In difesa degli insegnanti

Chi parla degli insegnanti che fanno tre mesi di vacanza, non sa di cosa parla. Innanzitutto nel mese di giugno gli insegnanti della scuola dell’infanzia continuano a lavorare (le lezioni per quest’ordine di scuola finiscono il 30 giugno). Nel mese di giugno la maggior parte degli insegnanti di scuola media è impegnata negli esami. Nel mese di luglio la maggior parte degli insegnanti di scuola superiore è impegnata negli esami di stato. Solo gli insegnanti della scuola primaria si riposano di più dopo la fine delle lezioni (quest’anno il termine è stato il 9 giugno), sempre che il loro dirigente non abbia fissato degli impegni nel mese di giugno: corsi di formazione, lavori di commissioni o altro. Fatta questa doverosa precisazione, si deve aggiungere che il lavoro degli insegnanti non è come quello di un normale impiegato amministrativo. Insegnare ai bambini, ai ragazzi e ai giovani è faticoso e stressante. Occorre frenare la loro naturale esuberanza, occorre farsi ascoltare…E soprattutto non puoi stare senza fare niente e rinviare la lezione, come si fa con una pratica amministrativa, se quel giorno non hai voglia di lavorare. Come ha dimostrato l’eminente psichiatra Vittorio Lodolo D’Oria, l’80% dei docenti è stressato. C’è bisogno, quindi, di più di un mese di vacanza per ritemprarsi e poter riprendere a settembre. A chi invidia le “lunghe” vacanze degli insegnanti, quindi, risponderei: vieni a fare l’insegnante e poi mi dici… Purtroppo è stato riconosciuto solo agli insegnanti di scuola dell’infanzia la condizione di lavoro usurante. Non so come si procederà con insegnanti che vanno in pensione sempre più tardi e quindi con acciacchi che aumentano, e come si potrà procedere a fare scuola. Né è stata ancora riconosciuta una carriera degli insegnanti, per cui un anziano professore potrebbe ad esempio non fare più lezione ma affiancare un giovane docente in servizio nel tirocinio. Dulcis in fundo, si chiede a presidi e docenti stressati e malpagati di aprire le scuole anche d’estate. Bene ha fatto la ministra Fedeli a precisare che non tocca ai docenti svolgere queste attività socio-assistenziali, ma alle associazioni. Il lavoro di docente è altra cosa: è quello di educatore. Eugenio Tipaldi

lunedì 12 giugno 2017

LA RIVOLUZIONE PEDAGOGICA FRANCESE

Come al solito, è dalla Francia che arrivano le novità e le rivoluzioni. Mi riferisco al fatto che uno dei primi atti del presidente Macron è stato quello di vietare i compiti a casa . per un problema di eguaglianza (un tema- guarda caso- di sinistra!). Infatti, non tutti gli alunni hanno la possibilità di farsi aiutare da genitori acculturati o hanno la possibilità di farsi pagare un’ insegnante che lo segua. Per evitare discriminazioni, Macron vuole che i compiti si facciano a scuola, e imporrà che i docenti restino di più al lavoro per svolgere attività di doposcuola e/o di recupero. Non è dato di sapere se per questo i docenti saranno retribuiti di più ( per i nostri insegnati malpagati, sarebbe il caso). Sarebbe il caso che anche in Italia s’introducesse un obbligo del genere, specie nella scuola secondaria di I grado. Nella scuola primaria, dove funziona il tempo pieno, non è necessario. Avrebbe così anche un senso non bocciare nella scuola dell’obbligo. Molti insegnanti pensano che non sia giusto promuovere anche quelli che non lo meritano, per rispetto di chi si è impegnato. Gli alunni che hanno carenze dovrebbero seguire obbligatoriamente di pomeriggio i corsi di recupero. In Italia ci affida alla buona volontà degli insegnanti. Ci si limita a direttive del tipo: ”Cercate di non assegnare troppo; oppure cercate di non assegnare per il lunedì o per le vacanze”. Abbiamo una tradizione che ci impone di non scontentare nessuno, e per fare questo scontentiamo tutti. Al Governo, se rimane in carica, dico: abbiate il coraggio di prendere posizione e ,se la ritenete giusta, non importatevi delle proteste. Ci saranno sempre le proteste, qualunque posizione si prenda, come è accaduto per l’obbligo dei vaccini che è una legge-secondo me- giustissima. Ma c‘è sempre qualcuno che dice che così si lede la libertà personale, senza considerare la responsabilità collettiva. Martin Luther King diceva: “La mia libertà finisce dove comincia la vostra.” Era un altro rivoluzionario. Eugenio Tipaldi

martedì 30 maggio 2017

E SE IMITASSIMO LA SCUOLA FINLANDESE?

Visto che gli studenti finlandesi sono tra i più bravi a livello internazionale nei rapporti PISA, perché non provare a imitare la loro struttura scolastica? Innanzitutto la Finlandia non ha una differenza tra scuola primaria e scuola media, ma un’unica scuola obbligatoria che va dai 7 anni ai 16 anni. Come non ricordare il fallito tentativo del ministro Luigi Berlinguer di riformare la nostra scuola tentando di uniformare il settore della scuola di base? E anche il tentativo di far decollare la valutazione degli insegnanti per la cui massiccia opposizione dovette dimettersi? Ma le idee giuste, anche se sconfitte, ritornano a prima o poi a galla… Torniamo alla Finlandia. Libri di testo e mensa scolastica sono gratuiti per tutti gli anni dell’obbligatorietà. La nostra Costituzione prevede la gratuità dell’istruzione obbligatoria, ma è una norma che non viene attuata. E poi ci si lamenta della dispersione scolastica che è alta! Dobbiamo dare i mezzi ai più poveri per potersi istruire. Dopo la scuola obbligatoria, gli studenti finlandesi scelgono di andare o alla scuola secondaria superiore (corrispondente ai nostri licei) o alla scuola professionale superiore che dura 3 anni. Lo studio è libero, personalizzato e si danno pochi compiti a casa. Ma la novità introdotta recentemente è che si aboliscono le materie e si propone di studiare quelli che vengono chiamati “fenomeni” con metodo interdisciplinare, secondo quanto auspicava Edgar Morin che insiste nei suoi testi sull’unità del sapere che poi è anche unità uomo-mondo, uomo-natura e unità scienze umane- scienze della natura. Introdurre l’insegnamento interdisciplinare significa superare l’antiquata lezione frontale e separata per discipline; significa raccordarsi con l’attualità; significa anche utilizzare al meglio le nuove tecnologie infromatiche. Per Benedetto Vertecchi, “decano dei pedagogisti italiani “, non è copiando la Finlandia che si migliora il sistema scolastico italiano. Io penso che invece occorre rifarsi ai sistemi scolastici migliori e in Finlandia troviamo l’eccellenza. Quanto all’obiezione che non è abolendo le materie che si migliora, io distinguerei la scuola di base dalla scuola superiore. Nella scuola di base occorre presentare un sapere ancora unitario. Nella scuola superiore si va nella specializzazione delle discipline, come avviene anche all’università, senza dimenticare però mai l’unitarietà del sapere. Quando si dice giustamente che la scuola media è l’anello debole del nostro sistema scolastico, non si riflette mai abbastanza che aver introdotto nell’età pre-adolescenziale la frammentarietà delle discipline è un grosso errore psicologico e pedagogico. Sempre sulla Finlandia, ricordo che i docenti vengono ben pagati, hanno un ruolo sociale riconosciuto e quindi sono molto motivati. Stanno però più tempo a scuola per programmare, fanno corsi di recupero e socializzano tra di loro, che è poi quello che crea una comunità educante. Le scuole sono piccole e non megascuole come le si vuole attuare in Italia per risparmiare: quando gli studenti diventano più di 300 ,le si sdoppia e le si affida a due direzioni differenti. Infine è una scuola che non boccia, come auspicava don Milani, che adesso ipocritamente il MIUR si accinge a celebrare, senza però mettere in atto i suoi dettami, come è successo anche con la Montessori, i grandi pedagogisti che l’Italia ha avuto, ma riconosciuti solo a parole e mai nei fatti.Perciò la scuola italiana rimane sempre indietro.

lunedì 22 maggio 2017

LE RIVENDICAZIONI DEI DIRIGENTI SCOLASTICI

Una volta tanto, al di là delle appartenenze di bandiera, i dirigenti scolastici convergono nelle loro rivendicazioni. Contestano che a troppe responsabilità, corrisponde un misero stipendio. E’ la metà di quello che percepiscono gli altri dirigenti pubblici, senza che abbiano le stesse incombenze e con meno personale da dirigere. I dirigenti scolastici sono considerati dirigenti di seconda fascia, ma non trattati allo stesso modo degli altri. Ma non è la sola ingiustizia. Essa alberga anche al loro interno. Ai vecchi presidi, divenuti dirigenti ope legis, è stata riconosciuta la Ria, gli anni svolti da docenti; ai vicepresidi divenuti a furia di incarichi presidi, si è riconosciuta un’indennità speciale; ai vincitori di concorso non si riconosce né l’una né l’altra. Cosi’ per la stessa funzione, quest’ultimi percepiscono meno dei loro colleghi. I Presidi chiedono quindi la perequazione interna prima di tutto, tra di loro, e poi quella esterna, l’equiparazione con gli altri dirigenti pubblici. Sappiamo che il governo deve fare tagli con la prossima manovra economica e quindi tende a risparmiare. Si può fare però un’operazione a costo zero per riportare equità e giustizia. Si taglino gli alti stipendi degli altri dirigenti pubblici di seconda fascia e si dia in parti uguali a tutti, così si equiparano gli stipendi, senza un euro aggiuntivo che sia messo da parte del governo. Renzi con la legge 107/2015, la cosiddetta “Buona scuola”, aveva messo i dirigenti scolastici al centro del processo riformatore, promettendo loro maggiori responsabilità e maggiore stipendio, Invece ci sono state le maggiori responsabilità e i soldi non si sono visti. Il ministro Fedeli ha confermato l’impianto della 107.Ma se si vuole dare più poteri ai presidi e quindi dare loro maggiori incombenze e responsabilità, dalla chiamata diretta alla valorizzazione dei docenti, si deve dare anche una maggiore retribuzione. Altrimenti i presidi rifiuteranno le reggenze (ci devono nominare d’ufficio); rifiuteranno la chiamata diretta (nomineranno gli uffici scolastici),;rifiuteranno di rappresentare il Ministero nei processi, al posto dell’Avvocatura dello Stato o degli Uffici legali degli USR. Infine rifiuteranno di compilare il portfolio, non perché rifiutano di farsi valutare, ma perché vogliono una valutazione seria con una retribuzione seria. Sulla valutazione dei presidi, si gioca la futura partita della valutazione degli insegnanti. E’ questo che paventano i docenti quando ci dipingono come presidi-sceriffi. Un governo riformatore deve essere capace di fare anche cose impopolari. Se si ritiene giusto valutare i docenti, si devono dare maggiori poteri ai dirigenti scolastici, con tutto quel che ne consegue, checché ne dicano i sindacati dei docenti. Eugenio Tipaldi

venerdì 12 maggio 2017

LA QUESTIONE DEI VACCINI OBBLIGATORI A SCUOLA

Sulla questione dei vaccini obbligatori a scuola, confliggono due diritti: il diritto alla salute e il diritto all’istruzione. Quale deve prevalere? Secondo me, il diritto alla salute. Non vaccinando mio figlio, metto a rischio la salute degli altri bambini che vanno a scuola. La libertà che rivendico di non vaccinare i miei figli, già discutibile sul piano scientifico (come quella dei Testimoni di Geova che non fanno trasfusioni di sangue per motivi religiosi),confligge con la tutela della salute degli altri bambini. Quindi è giusto che lo Stato imponga l’obbligatorietà dei vaccini per frequentare la scuola dell’obbligo, com’era in passato d’altronde. Il ministro dell’Istruzione Fedeli teme l’incostituzionalità di tale obbligo e dichiara: ”Se una coppia di genitori non vuole vaccinare il figlio gli fai perdere l’anno? Lo costringi a iscriversi a una privata?” Appunto, sei libero di non vaccinare i tuoi figli, ma in questo caso li iscrivi alla scuola privata e paghi per la tua rivendicazione individuale di libertà, perché lo Stato ha l’obbligo di tutelare la salute degli altri bambini che frequentano la scuola. Non è un’imposizione autoritaria, come paventano alcune associazioni di genitori, ma un gesto di responsabilità sociale. Lo Stato ti riconosce la libertà di bere alcolici, ma non quella di guidare sotto l’effetto dell’alcol, perché metti a rischio la vita degli altri. Altro esempio, tra diritto del lavoro e diritto all’ambiente, se un’industria ,come l’ILVA di Taranto, mette a rischio per l’inquinamento che provoca la salute dei cittadini, che fai? Giustamente il giudice chiude la fabbrica perché prevale il diritto alla salute. In conclusione, sulla questione dei vaccini io sto con la ministra Lorenzin e non con la ministra Fedeli.

lunedì 8 maggio 2017

IL PORTFOLIO VUOTO

Secondo me c’è un fraintendimento dei sindacati della scuola circa le motivazioni della protesta dei dirigenti scolastici .E’ chiaro che la misura è colma e l’acqua comincia a traboccare dal vaso pieno. Non ce la facciamo più a reggere responsabilità e incombenze burocratiche ,senza che a ciò corrisponda una retribuzione giusta ed equa rispetto agli altri dirigenti pubblici che guadagnano il doppio di noi e hanno meno responsabilità. Siamo stanchi di essere i figli di un dio minore e i miei colleghi finalmente cominciano a ribellarsi, ad alzare la voce. Lo hanno capito anche i sindacati dei presidi di solito acquiescenti. Ma sia la quadriade (CGIL,CISL,UIL,SNALS) sia l’ANP stanno fraintendendo (volutamente o involontariamente?) le ragioni della protesta. Fanno capire che non vogliamo la valutazione perché uno dei punti di lotta portati avanti-leggo dai resoconti della quadriade- è “ l’abolizione della divisione in fasce dei dirigenti nell’ambito del processo valutativo, oltre che la ricaduta sulla retribuzione di risultato”. La stessa ANP, boicottando la compilazione del portfolio, fa capire che noi dirigenti non vogliamo la valutazione. E’ assolutamente falso. Noi la valutazione la vogliamo, ma vogliamo che essa sia legata a retribuzioni di risultati sostanziosi, come quelli degli altri dirigenti pubblici, e non alla miseria che ci vogliono dare (400 euro lordi mensili). Ci battiamo per la perequazione interna: è SCANDALOSO che dirigenti che svolgono la stessa funzione prendano stipendi diversi, perché ai vecchi presidi, divenuti ope legis dirigenti, è stata riconosciuta la RIA, cioè l’anzianità da professori, e i nuovi dirigenti che lo sono diventati per concorso e si spera per merito prendano di meno perché ad essi non è stata mai riconosciuta. Chiediamo anche la perequazione esterna: vogliamo cioé essere equiparati agli altri dirigenti pubblici e, se ci sono problemi di spesa, si dia meno a loro per livellare lo stipendio di tutti i dirigenti pubblici. Chiediamo però più potere per essere valutati, checché ne pensino gli insegnanti: vogliamo scegliere gli insegnanti della scuola che dirigiamo per poter rispondere dei risultati; vogliamo poterli sanzionare se sono incapaci (al momento, dopo le ultime sentenze possiamo solo rimproverarli e al massimo fare una censura scritta); vogliamo poter gestire liberamente le risorse programmandole insieme agli organi collegiali, perché si realizzi davvero l’autonomia scolastica che altrimenti è una chimera. Altro che presidi-sceriffi come ci hanno chiamati: la stella che ci aveva messo sul petto la legge 107, è stata subito tolta e buttata a terra! Per questi motivi, insieme ad altri colleghi di Dirgentiscuola, associazione minoritaria dei presidi, come viene presentata,ma combattiva, il 22 maggio mi incatenerò a Roma, davanti a Palazzo Montecitorio, e farò lo sciopero della fame e della sete. di Eugenio Tipaldi

sabato 6 maggio 2017

NON SONO I I PRESIDI A DEQUALIFICARE LA SCUOLA!

Tutti sono andati a scuola e tutti possono parlare di scuola. Ognuno perciò può avere la sua opinione personale su di essa. Non entro nel merito di quanto scrive l’ex procuratore generale Vincenzo Galgano nell’articolo intitolato “L’inutile scuola dei mediocri” apparso su Repubblica di Napoli sabato 6 maggio, commentando a sua volta un editoriale di Galli della Loggia sulla scuola pubblicato sul Corriere della Sera. Per chi è interessato alla mia opinione su questa questione, può leggere quanto scrivo nella mia pagina Facebook o sul mio blog http://scuolapubblicalaica.blogspot.it/ nel post intitolato “Bocciare o non bocciare, questo è il problema”, pubblicato anche sulle riviste on line Orizzonte Scuola e La tecnica della scuola. Il procuratore sposa la tesi dello storico Ernesto Galli della Loggia che accusa la scuola italiana di aver rinunciato a qualsiasi selezione di merito(il che è vero), dando la colpa però ai dirigenti scolastici che, per essere valutati positivamente, dovrebbero far promuovere tutti. Si fa riferimento al fatto che un professore è stato sanzionato da un dirigente scolastico perché metteva voti bassi e il giudice del lavoro ha dato ragione al docente (credo anch’io che il preside abbia sbagliato).Ma la questione non è questa. Il giudice in pensione Galgano scrive: “E’ questo il punto terminale della evoluzione italiana della funzione della scuola, che consente conservando il congruo numero di alunni, di disporre di risorse, ottenere (per i dirigenti scolastici) successi di carriera e giungere persino a fortune politiche.” Forse l’ex procuratore ci ha scambiato per magistrati. Non mi risulta che i miei colleghi abbiano fatto brillanti carriere e tantomeno a livello politico. Ce ne può essere qualcuno, ma non mi pare un delitto. Cosa si dovrebbe allora dire dei tanti magistrati che si buttano in politica? E diamo alcune informazioni esatte, da addetto ai lavori. Se si salva un congruo numero di alunni (non meno di 600), si mantiene l’autonomia dell’istituzione scolastica, altrimenti la si perde. E vengono aggregati più scuole insieme (siamo arrivati anche fino a 12 con un unico dirigente scolastico) per raggiungere la soglia minima, ma si possono avere anche fino a 1400 alunni. Quanto alle risorse, se si riferisce a quelle economiche, l’ex procuratore dovrebbe sapere, avendo fatto parte della pubblica amministrazione, che esse sono state sempre scarse. In quanto alla nostra valutazione, pur invocata, essa non c’è mai stata, se non in maniera sperimentale, e non ha mai dato luogo a incrementi economici. Purtroppo, per attaccare la legge sulla “Buona scuola”, c’è stata una campagna denigratoria da parte dei sindacati della scuola contro i dirigenti scolastici e all’ex procuratore deve essere arrivato qualche eco di questa polemica. Ci hanno chiamati presidi-sceriffi criticando il fatto che avevamo un enorme potere e invece i nostri poteri sono molto, molto limitati. Non possiamo scegliere gli insegnanti, solo un manipolo di neoassunti. Non li possiamo sanzionare, se sono incapaci: possiamo fare solo un rimprovero e una censura scritta al massimo. Abbiamo la metà dello stipendio di qualsiasi altro dirigente pubblico. In compenso abbiamo una serie di incombenze e responsabilità, come nessun altro dirigente della pubblica amministrazione. Possiamo anche andare in galera, se non stiamo attenti, perché un edificio non è a norma, sebbene l’adeguamento sismico degli edifici scolastici spetti agli enti pubblici e allo Stato. Per questi motivi, il 22 maggio m’incatenerò a Roma, davanti al palazzo di Montecitorio, insieme ad altri miei colleghi, e farò lo sciopero della fame e della sete. Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “D’Aosta-Scura” di Napoli Con preghiera di pubblicazione e diritto di replica, perché si configura un reato di diffamazione contro i dirigenti scolastici.

giovedì 4 maggio 2017

BOCCIARE O NON BOCCIARE,QUESTO E' IL PROBLEMA

Bocciare sì, bocciare no. Il problema non è così netto come sembra, ma vanno fatti dei distinguo. Altrimenti non si sa a chi dar ragione: a chi dice che senza bocciatura non c’è crescita formativa o a chi dice che la scuola deve farsi carico delle masse povere. Il dibattito nasce da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che accusa la scuola di non selezionare e di promuovere tutti, anche sulla scorta di quanto dice un professore pugliese che è stato prima sospeso dal dirigente scolastico perché metteva voti bassi e poi riabilitato dal giudice. Il suo assunto è: “Se tutti gli studenti avessero i voti che meritano non verrebbe promosso più del 20 per cento». Galli della Loggia contesta l’ideologia dell’ “inclusione” che è diventato uno degli obiettivi primari della scuola e assevera che i dirigenti scolastici spingono per le promozioni perché vengono valutati sulla base del numero dei promossi. Tutto questo sarebbe imposto dalle disposizioni ministeriali. Allora, cominciamo a fare il primo distinguo: è giusto non bocciare, secondo me, nella scuola di base (scuola primaria e scuola secondaria di I grado o scuola media che dir si voglia). La scuola che non porta ai livelli minimi di competenza linguistica e scientifico-matematica tutti gli alunni è una scuola da bocciare. E’ giusta quindi la disposizione ministeriale di non bocciare alle elementari se non in casi eccezionali. Io estenderei questa disposizione anche alla scuola media, che è un’età critica per i ragazzi. Un insuccesso, a questa età, può portare anche al suicidio e mina l’autostima. Qualcuno obietta: ma allora che senso ha l’esame di licenza media? Infatti, così com’è, non ha senso: va semplicemente abolito perché inutile. Altra obiezione: se gli alunni sono comunque promossi, perché devono faticare a studiare? Alle medie va introdotto il principio di responsabilità. Chi ha delle lacune, dovrà recuperarle partecipando obbligatoriamente a progetti di recupero pomeridiani o estivi. La selezione(severa) deve avvenire alle superiori. Qui ha ragione lo storico Galli della Loggia a dire che la scuola è diventata troppo permissiva e non seleziona più, ma sbaglia bersaglio. Il problema non è l’obiettivo (sacrosanto) dell’inclusione o la spinta dei presidi a promuovere. L’ideologia perversa che ha creato problemi alla scuola superiore e l’ha livellata verso il basso, è quella di aver dato la possibilità a tutti di scegliere liberamente il proprio percorso scolastico, senza tener conto delle proprie attitudini e del giudizio d’ammissione da parte degli insegnanti, con il fraintendimento che così si dà opportunità a tutti per il successo formativo. Occorre introdurre un sistema di orientamento che spinga i ragazzi a percorsi differenziati già alle medie. La media unificata, che viene glorificata come grande traguardo democratico del centrosinistra (1962), è stata, secondo me ,un grosso errore. Si è pensato di portare tutti al liceo e all’università e ci troviamo con laureati che non sanno scrivere e non conoscono la storia. Si è pensato che tutti potessero andare all’università e abbiamo in Europa una delle percentuali più basse di laureati. Altro errore è stato estendere l’obbligo d’istruzione a 16 anni e abbiamo una dispersione scolastica dai 14 ai 16 anni spaventosa. Ancora più grave sarebbe estendere l’obbligo d’istruzione, come alcuni auspicano, a 18 anni. Altra cosa è l’obbligo formativo che deve valere per tutti. Ma dove sta scritto che devono diventare tutti laureati o sfaccendati o sottoccupati (perché alla laurea ormai non corrisponde il lavoro che si addice) e dobbiamo appaltare agli stranieri il lavoro di muratore, falegname, elettricista, fabbro, idraulico, cameriere. Non è una discriminazione questa? Perché il lavoro manuale deve esser considerato inferiore al lavoro intellettuale? Una sinistra che in passato faceva della classe operaia il perno della sua rivoluzione, ha svalutato poi nelle proposte che fa sulla scuola quel lavoro manuale che pure esaltava. E’ un paradosso, ma è un paradosso che non si può sciogliere abolendo il titolo legale della laurea, cioè svalutandola. Occorre recuperare la selezione in senso orientativo e non è detto che il figlio del povero debba necessariamente esser portato al lavoro manuale e il figlio del ricco al liceo. E’ più facile , con il sistema vigente, che ,non dando una prospettiva di lavoro a chi non ha niente, lo si conduca nelle braccia della criminalità che almeno un lavoro lo offre. Il grosso problema della scuola italiana, per ridarle credibilità e rispetto, è quindi ridare allo studio e alla formazione una prospettiva di lavoro, a meno che non si pensi che il futuro ci porti all’abolizione del lavoro in quanto verrà svolto dai robot. In quest’ultimo caso, lo studio diventerebbe solo una passione in senso umanistico e avrebbe valore solo per chi vuole coltivarlo. Ognuno sarebbe libero di studiare o meno. Come mangiare però, senza lavorare, sarà il problema del futuro(ma già per molti è quello del presente).

martedì 25 aprile 2017

IN DIFESA DI DON MILANI

Nel cinquantenario della morte di don Milani, ricominciano i fraintendimenti e le diffamazioni. Lo scrittore Walter Siti con la dedica al suo libro “Bruciare tutto”, lo fa diventare quasi un pedofilo, le stesse accuse-guarda caso- che gli venivano mosse dal mondo clericale che gli era contro e che lo confinò a Barbiana. Ma proprio in questo posto sperduto, nel cuore del Mugello in Toscana, don Lorenzo sperimentò la sua rivoluzione pedagogica. Nella sua “Lettera a una professoressa” uscita postuma, egli accusa l’istituzione scuola di essere al servizio dei ricchi e non dei poveri. I figli dei contadini e degli operai, salvo poche eccezioni, venivano espulsi o bocciati senza pietà. Perciò egli dice che la scuola è come un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Si è fraintesa la sua esortazione a non bocciare con la deriva sessantotina del “6 politico”. Non era affatto questa la sua intenzione. Non intendeva che andavano tutti promossi anche senza fare niente, al contrario i suoi alunni dovevano studiare più degli altri , faticare, per colmare gli svantaggi che avevano rispetto a chi possedeva più parole, perché era vissuto in un ambiente culturalmente elevato. E’ ancora attuale don Milani? Direi di sì, perché l’obbligo d’istruzione e del successo formativo s’ispira a lui e alla sua lettura della Costituzione italiana. E ancora oggi la scuola espelle o boccia chi non ce la fa, mentre don Lorenzo voleva che tutti potessero accedere democraticamente alla cultura.