mercoledì 27 settembre 2017

DOVE IL PD HA SBAGLIATO SULLA SCUOLA

Nel suo libro recentemente pubblicato Renzi ammette che qualcosa nella riforma della scuola il PD ha sbagliato, anche se non sa dire bene su che cosa, imputando gli errori a una sbagliata comunicazione.. Valeria Fedele, il ministro dell’Istruzione, alcuni giorni fa riferisce:“ Non si può avere investito risorse e assunto 100mila persone e avere tutto il mondo della scuola contro: evidentemente qualcosa dobbiamo aver sbagliato. Io penso che una delle ragioni è che quando si vogliono fare cambiamenti, bisogna coinvolgere gli interlocutori con un confronto vero sugli obiettivi e sulla qualità della proposta. Nel momento in cui tu condividi l’obiettivo è molto più facile trovare i punti di sintesi”. In verità il PD ha provato a coinvolgere all’inizio della riforma i docenti e quindi il problema non è stato il mancato coinvolgimento degli interlocutori o l’errata comunicazione. La riforma Giannini, oltre ad assumere centomila insegnanti, ha tentato di modificare il reclutamento degli stessi, facendoli chiamare direttamente dai dirigenti scolastici (la cosiddetta chiamata diretta), avendo contro tutti i sindacati della scuola, tranne quelli dei dirigenti scolastici, che si sono beccati l’accusa di diventare “sceriffi”, cioè sono stati accusati di concentrare un potere assoluto nella scuola. In realtà il potere dei presidi è stato molto limitato, riguardava solo i nuovi docenti assunti. Si condividesse o meno la riforma, diciamo che il governo non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. O si dava reale potere ai dirigenti scolastici di assumere i docenti, come avviene in Gran Bretagna, in concorso con il Consiglio di amministrazione, sulla base dei curricula, oppure si lasciava il sistema com’era e come vogliono i sindacati della scuola: assunzione sulla base del punteggio delle graduatorie. Questa riforma a metà ha scontentato tutti: i docenti per le ragioni suddette e anche i dirigenti che sono stati bersagliati, senza aver nessun riconoscimento economico, come pure promesso dalla legge 107,e con nessun vero potere, tanto è vero che quest’estate per protesta molti dei miei colleghi hanno rinunciato alla chiamata diretta, affidandosi alla tradizionale nomina dell’Ufficio scolastico. Poi c’è stato l’algoritmo sbagliato utilizzato l’anno scorso per le nomine che ha mandato in altre regioni docenti con maggior punteggio di altri che con minor punteggio hanno avuto il posto vicino al luogo di residenza. E per ovviare a quest’errore, si è dato a tutti l’anno scorso l’opportunità di avere l’assegnazione o l’utilizzazione per avvicinarsi a casa, vanificando di fatto la chiamata diretta e cancellando uno dei meriti della Buona scuola che pure ce li ha: la continuità didattica per tre anni, evitando i trasferimenti dei docenti; e l’organico dell’autonomia con il potenziamento. Si valorizzino questi punti qualificanti della “107”, evitando il trasferimento e la possibilità di assegnazione provvisoria e utilizzazione dei docenti per 3 anni, guardando agli interessi degli studenti, a cui nessuno guarda perché non hanno sindacati a rappresentarli. E si decida una buona volta se cambiare sistema di reclutamento con la chiamata diretta o mantenere le nomine secondo punteggio di graduatoria. Nel primo caso il dirigente scolastico deve essere affiancato nella scelta dal Consiglio d’Istituto, anche per evitare responsabilità penali di scelte “soggettive”. Si sappia però che tratta però di sfidare tutti gli insegnanti che sono contrari. Se non si ha questo coraggio, se serve il consenso al PD degli insegnanti per le future imminenti elezioni, si torni allora al vecchio metodo, ma si imponga perlomeno il blocco triennale dei trasferimenti, per non cedere del tutto alle pretese corporative che non tutelano gli interessi generali. Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

martedì 12 settembre 2017

NON CONDIVIDO L’UTILIZZO DELLO SMARTPHONE IN AULA

Cara ministra Fedeli, Lei, sdoganando l’’utilizzo dello smartphone a scuola, lo giustifica dicendo: “ Non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori dal mondo della scuola” parlando degli studenti. Il problema –e Lei che è di sinistra dovrebbe saperlo- è che non sempre il mondo di fuori è portatore del buono: porta anche cattive idee e azioni, dipendenze nefaste… A mio parere, quello dello smartphone è una delle dipendenze nefaste del nostro mondo attuale: distrae dallo studio, dall’attenzione, dal dialogo visu à visu, addirittura è causa, a volte, di omicidi stradali. Non voglio demonizzare lo strumento che pure è utile, ma molti incidenti automobilistici avvengono, oltre che per l’uso di droghe e di alcool, perché il guidatore si è distratto a guardare i messaggi sullo smartphone. E noi che facciamo? Lo introduciamo a scuola come veicolo di studio, assecondando la dipendenza da questo strumento. Certo, Lei dice: “E’ uno strumento di apprendimento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata.” Il problema è che ,una volta sdoganato il suo utilizzo a scuola come mezzo lecito, sarà difficile per gli insegnanti discernere il suo uso improprio dal suo uso lecito. La scuola non recupererà la motivazione degli studenti, accondiscendendo alle mode moderniste (computer, smartphone, ecc. ), né tornando arcaicamente indietro verso un passato che non c’è più. Se rivoluzione ci deve essere nella scuola, è nell’innovazione dei metodi d’insegnamento: occorre ridimensionare la lezione frontale allo stretto necessario e dare spazio ai lavori creativi di gruppo. E questo il vero aggiornamento che si deve proporre agli insegnanti. Nei nuovi metodi educativi possono trovare spazio anche gli strumenti informatici. Ma lo smartphone no, lasciamolo fuori dell’aula. Io mi sarei aspettato da lei un provvedimento anticonformista: una legge che vietasse di portare a scuola gli smartphone. Quando ci proviamo noi presidi e insegnanti a vietarne l’uso, ci viene contestato dalle famiglie che devono stare in contatto con i loro figli. Così al massimo s’impone agli alunni di tenerlo nello zaino spento. Ma quanti poi lo fanno e non lo prendono di nascosto o sfidando apertamente l’insegnante che rischia di essere accusato di aggressione se prova a sequestrarlo? Se Lei avesse vietato per legge il loro ingresso a scuola, i genitori non avrebbero potuto obiettare niente. Quanto al fatto di voler mantenere il cordone ombelicale con i loro figli, si può obiettare invece che noi siamo vissuti in un’epoca dove non esistevano i cellulari e non mi pare che siamo cresciuti male. I giovani di oggi rischiano di non avere una propria autonomia (troppo protezionismo da parte delle famiglie!) e senza autonomia non c’è vera crescita educativa.