mercoledì 18 ottobre 2017

APPELLO PER UNA LEGGE CHE ASSOLVI PRESIDI E INSEGNANTI DALL’OBBLIGO DI VIGILANZA FUORI DALLA SCUOLA

Oltre alla responsabilità sulla sicurezza della scuola, incombe sui dirigenti scolastici anche l’incombenza dell’affidamento dei minori. Dopo la sentenza della Cassazione che ha condannato la scuola per mancata vigilanza fuori della scuola in seguito alla morte di un alunno undicenne investito da un bus, presidi e insegnati sono giustamente preoccupati. Ma se un genitore mi dice che non può venire a prendere il minore perché lavora o per altri motivi, non ha altre persone cui delegare il prelevamento oppure c’è ma è un altro minore un po’ più grande, cosa deve fare un dirigente scolastico? Chiama ogni volta la polizia o i carabinieri come ha fatto qualche mio collega? O i vigili (se vengono), come si fa a Nocera Inferiore? La scuola ha in affido i minori ma una volta che sono usciti da scuola è responsabilità dei genitori venire o o non venire a prenderli. Perché devo rispondere io preside o io insegnante dell’ultima ora delle manchevolezze del genitore che insiste per far uscire autonomamente il figlio? Il Parlamento deve assolutamente deliberare in merito, perciò ho firmato la petizione di legge che è stata presentata per abolire il reato di abbandono di minori per la normale attività autonoma dei bambini e dei ragazzi. I sindacati della scuola ci appoggino in questa battaglia (una volta tanto, non si tratta di far sborsare soldi da parte dello Stato, ma solo di fare una legge ragionevole).E anche la ministra Fedeli, così sensibile, ci dia una mano.

martedì 17 ottobre 2017

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO ALL’ITALIANA: UNA CAVOLATA!

Un altro punto da abolire tout court della Buona Scuola (l’altro punto da abolire è la chiamata diretta, come ho spiegato in un precedente commento), è l’alternanza scuola-lavoro. Ho letto con attenzione la difesa d’ufficio che ne ha fatto Simona Malpezzi sul giornale online “Democratica”. Intanto non c’entra niente l’alternanza con il problema della dispersione scolastica. Poi non è vero che tale alternanza ricalca il sistema tedesco che prevede un sistema duale. I licei preparano al percorso universitario; i tecnici e i professionali dovrebbero portare a un percorso professionale subito dopo il diploma. E’ qui che andrebbero concentrate le risorse, le disponibilità, le relazioni con le imprese e l’artigianato. E’ qui che la scuola italiana è manchevole. E’ qui il vulnus, il punto debole! Che mi significa che al liceo classico vado a fare esperienza nei call center? Non parliamo per favore di orientamento. Alle medie, anello debole del nostro sistema scolastico, se si vuole davvero introdurre il sistema tedesco, vanno selezionati gli alunni che dovranno fare un percorso professionalizzante e quelli che vanno al liceo. Se innalzo l’obbligo d’istruzione a 16 anni o addirittura come pare si voglia fare a 18 anni, è chiaro che hai la dispersione scolastica degli alunni che non amano studiare nel senso tradizionale del termine (lo studio teorico). Diverso è se gli dai l’opportunità di continuare gli studi per imparare un lavoro e gli offri un percorso più pratico. La teoria non è mai separata dalla pratica, ma non siamo tutti uguali: c’è chi è portato più per gli studi che una volta si sarebbero detti contemplativi e chi è incline al fare, all’operare. Gardner ce l’ha insegnato: le intelligenze sono differenti. Questo non significa che la pratica è meno dignitosa della teoria,anzi. L’alternanza scuola-lavoro all’italiana non ha senso: è una perdita di tempo, è uno sfruttamento come hanno denunciato gli studenti, è una cavolata. Aboliamola, per favore! Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

mercoledì 27 settembre 2017

DOVE IL PD HA SBAGLIATO SULLA SCUOLA

Nel suo libro recentemente pubblicato Renzi ammette che qualcosa nella riforma della scuola il PD ha sbagliato, anche se non sa dire bene su che cosa, imputando gli errori a una sbagliata comunicazione.. Valeria Fedele, il ministro dell’Istruzione, alcuni giorni fa riferisce:“ Non si può avere investito risorse e assunto 100mila persone e avere tutto il mondo della scuola contro: evidentemente qualcosa dobbiamo aver sbagliato. Io penso che una delle ragioni è che quando si vogliono fare cambiamenti, bisogna coinvolgere gli interlocutori con un confronto vero sugli obiettivi e sulla qualità della proposta. Nel momento in cui tu condividi l’obiettivo è molto più facile trovare i punti di sintesi”. In verità il PD ha provato a coinvolgere all’inizio della riforma i docenti e quindi il problema non è stato il mancato coinvolgimento degli interlocutori o l’errata comunicazione. La riforma Giannini, oltre ad assumere centomila insegnanti, ha tentato di modificare il reclutamento degli stessi, facendoli chiamare direttamente dai dirigenti scolastici (la cosiddetta chiamata diretta), avendo contro tutti i sindacati della scuola, tranne quelli dei dirigenti scolastici, che si sono beccati l’accusa di diventare “sceriffi”, cioè sono stati accusati di concentrare un potere assoluto nella scuola. In realtà il potere dei presidi è stato molto limitato, riguardava solo i nuovi docenti assunti. Si condividesse o meno la riforma, diciamo che il governo non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. O si dava reale potere ai dirigenti scolastici di assumere i docenti, come avviene in Gran Bretagna, in concorso con il Consiglio di amministrazione, sulla base dei curricula, oppure si lasciava il sistema com’era e come vogliono i sindacati della scuola: assunzione sulla base del punteggio delle graduatorie. Questa riforma a metà ha scontentato tutti: i docenti per le ragioni suddette e anche i dirigenti che sono stati bersagliati, senza aver nessun riconoscimento economico, come pure promesso dalla legge 107,e con nessun vero potere, tanto è vero che quest’estate per protesta molti dei miei colleghi hanno rinunciato alla chiamata diretta, affidandosi alla tradizionale nomina dell’Ufficio scolastico. Poi c’è stato l’algoritmo sbagliato utilizzato l’anno scorso per le nomine che ha mandato in altre regioni docenti con maggior punteggio di altri che con minor punteggio hanno avuto il posto vicino al luogo di residenza. E per ovviare a quest’errore, si è dato a tutti l’anno scorso l’opportunità di avere l’assegnazione o l’utilizzazione per avvicinarsi a casa, vanificando di fatto la chiamata diretta e cancellando uno dei meriti della Buona scuola che pure ce li ha: la continuità didattica per tre anni, evitando i trasferimenti dei docenti; e l’organico dell’autonomia con il potenziamento. Si valorizzino questi punti qualificanti della “107”, evitando il trasferimento e la possibilità di assegnazione provvisoria e utilizzazione dei docenti per 3 anni, guardando agli interessi degli studenti, a cui nessuno guarda perché non hanno sindacati a rappresentarli. E si decida una buona volta se cambiare sistema di reclutamento con la chiamata diretta o mantenere le nomine secondo punteggio di graduatoria. Nel primo caso il dirigente scolastico deve essere affiancato nella scelta dal Consiglio d’Istituto, anche per evitare responsabilità penali di scelte “soggettive”. Si sappia però che tratta però di sfidare tutti gli insegnanti che sono contrari. Se non si ha questo coraggio, se serve il consenso al PD degli insegnanti per le future imminenti elezioni, si torni allora al vecchio metodo, ma si imponga perlomeno il blocco triennale dei trasferimenti, per non cedere del tutto alle pretese corporative che non tutelano gli interessi generali. Eugenio Tipaldi Dirigente scolastico

martedì 12 settembre 2017

NON CONDIVIDO L’UTILIZZO DELLO SMARTPHONE IN AULA

Cara ministra Fedeli, Lei, sdoganando l’’utilizzo dello smartphone a scuola, lo giustifica dicendo: “ Non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori dal mondo della scuola” parlando degli studenti. Il problema –e Lei che è di sinistra dovrebbe saperlo- è che non sempre il mondo di fuori è portatore del buono: porta anche cattive idee e azioni, dipendenze nefaste… A mio parere, quello dello smartphone è una delle dipendenze nefaste del nostro mondo attuale: distrae dallo studio, dall’attenzione, dal dialogo visu à visu, addirittura è causa, a volte, di omicidi stradali. Non voglio demonizzare lo strumento che pure è utile, ma molti incidenti automobilistici avvengono, oltre che per l’uso di droghe e di alcool, perché il guidatore si è distratto a guardare i messaggi sullo smartphone. E noi che facciamo? Lo introduciamo a scuola come veicolo di studio, assecondando la dipendenza da questo strumento. Certo, Lei dice: “E’ uno strumento di apprendimento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata.” Il problema è che ,una volta sdoganato il suo utilizzo a scuola come mezzo lecito, sarà difficile per gli insegnanti discernere il suo uso improprio dal suo uso lecito. La scuola non recupererà la motivazione degli studenti, accondiscendendo alle mode moderniste (computer, smartphone, ecc. ), né tornando arcaicamente indietro verso un passato che non c’è più. Se rivoluzione ci deve essere nella scuola, è nell’innovazione dei metodi d’insegnamento: occorre ridimensionare la lezione frontale allo stretto necessario e dare spazio ai lavori creativi di gruppo. E questo il vero aggiornamento che si deve proporre agli insegnanti. Nei nuovi metodi educativi possono trovare spazio anche gli strumenti informatici. Ma lo smartphone no, lasciamolo fuori dell’aula. Io mi sarei aspettato da lei un provvedimento anticonformista: una legge che vietasse di portare a scuola gli smartphone. Quando ci proviamo noi presidi e insegnanti a vietarne l’uso, ci viene contestato dalle famiglie che devono stare in contatto con i loro figli. Così al massimo s’impone agli alunni di tenerlo nello zaino spento. Ma quanti poi lo fanno e non lo prendono di nascosto o sfidando apertamente l’insegnante che rischia di essere accusato di aggressione se prova a sequestrarlo? Se Lei avesse vietato per legge il loro ingresso a scuola, i genitori non avrebbero potuto obiettare niente. Quanto al fatto di voler mantenere il cordone ombelicale con i loro figli, si può obiettare invece che noi siamo vissuti in un’epoca dove non esistevano i cellulari e non mi pare che siamo cresciuti male. I giovani di oggi rischiano di non avere una propria autonomia (troppo protezionismo da parte delle famiglie!) e senza autonomia non c’è vera crescita educativa.

giovedì 20 luglio 2017

Lettera aperta alla ministra dell’Istruzione VALERIA FEDELI

Illustre Signora Ministra, leggo che intende portare l’obbligo scolastico a 18 anni. Il proposito è lodevole, ma si corre il rischio di aumentare la percentuale della dispersione scolastica, già molto alta in alcune zone del Paese. Non è elevando l’età dell’obbligo da 16 a 18 anni, infatti, che si risolve il problema dell’abbandono scolastico. A parte che non c’è attualmente, per abrogazione di alcune leggi, nessuna sanzione o reato per i genitori degli alunni che evadono la scuola, se non alle elementari, non è con la repressione che si risolve il problema. Le parlo da un avamposto di frontiera, i Quartieri Spagnoli di Napoli (lei è stata allo Zen di Palermo), e le dico con cognizione di causa che gli alunni della mia scuola a stento prendono la terza media. Se frequentano le superiori, lo fanno per vedere l’effetto che fa. E l’effetto è una sicura bocciatura che fa sconsigliare il prosieguo. E se non lo capisce ancora, c’è anche la seconda bocciatura che stronca ogni speranza. Ecco le vere cause della dispersione scolastica! La soluzione sta, secondo me, nell’ orientare già gli alunni della scuola media in un sistema duale, come avviene in Germania: separare gli alunni che sono portati per il liceo e che continueranno gli studi dagli alunni che faranno un percorso professionalizzante per imparare un mestiere. Si dirà che è discriminante e ci riporta a prima della riforma della scuola media unificata del 1962, quando c’era la scuola media e la scuola dell’avviamento. A posteriori, di deve dire che quella riforma è fallita. Gli alunni demotivati impediscono lo studio a quelli che vogliono proseguire gli studi. Questi alunni vengono bocciati, sospesi dalle lezioni, incrementando la loro rabbia contro la scuola e le istituzioni in generale che li respingono. Diventano facile preda per essere arruolati nella criminalità organizzata o per essere sfruttati nel lavoro nero. Non è meglio allora per questi ragazzi, che li si faccia fare un percorso differenziato, triennale dopo la scuola media, che gli insegni un mestiere, piuttosto che proporre loro un itinerario fintamente egualitario che essi rifiutano? Questa è la vera alternativa alla strada e si offre una possibilità di riscatto a questi ragazzi a cui non piace lo studio e la scuola così come è fatta. Nello stesso tempo si dà la possibilità agli altri alunni di studiare per il proseguimento al liceo e all’università, senza essere continuamente disturbati da chi non è interessato a quello studio ritenuto astratto. Si farebbero dei test iniziali, alla fine della quinta elementare, per indirizzare gli alunni ai due diversi tipi di scuola. E non è detto che i figli dei poveri non possano andare al liceo, se hanno dimostrato la volontà di studiare, che si manifesta già nella scuola primaria. Questo finto egualitarismo del siamo tutti eguali, finisce, proprio perché non lo siamo eguali per le condizioni socio-economiche di partenza, per discriminare: alunni di fatto respinti dalla scuola ed emarginati, a cui non sé dato nessuna possibilità né di studiare né di poter lavorare onestamente. Le rinnovo l’invito a venire alla mia scuola, la “D’Aosta-Scura”, per farle vedere di persona la realtà che viviamo. Tullio De Mauro, quand’era professore, venne a trovarci, dopo che era stato allo Zen. Faccia anche Lei lo stesso percorso: Le regalerò il libro da me scritto a mie spese “Il Preside dei Quartieri Spagnoli. Dalla riforma Gelmini alla riforma Giannini”. Potrebbe avere degli spunti per rialzare le sorti del povero Renzi, che attualmente è inviso, per ragioni diverse, da tutto il personale della scuola.

domenica 16 luglio 2017

E SE I PRESIDI MINACCIASSERO, INSIEME A TUTTO IL PERSONALE SCOLASTICO, DI NON RIAPRIRE LE SCUOLE A SETTEMBRE?

Aggiungetemi ai 400 presidi e più che hanno rinunciato alla chiamata diretta per una «situazione ormai insostenibile», sia per la retribuzione «non proporzionale al nostro carico di lavoro e responsabilità», sia per le «inadeguate condizioni di sicurezza delle scuole», che «per «le continue molestie burocratiche». Aggiungo che per senso di responsabilità, invece,lavorerò anche a casa per incentivare il merito e dare agli insegnanti ritenuti “migliori ” un piccolo premio economico. Pare che vogliano dare a noi dirigenti scolastici, dopo tante proteste, un aumento di 50 euro lorde che diventano 20 euro lorde, con la beffa che il nostro stipendio diminuirà, per motivi tecnici che non sto qui a spiegare. E’ inutile che le lamentele si rivolgono alla ministra Fedeli, perché chi decide è il ministro delle Finanze e nella spending review non ci sono tagli ai privilegi e agli sperperi, ma tagli alla scuola che pure viene ritenuta a parole dai politici (prima delle elezioni!) un settore importante per la crescita del paese. L’OCSE ha per esempio criticato lo stipendio stratosferico dei dirigenti pubblici. Naturalmente non siamo noi, i dirigenti pubblici peggio pagati! Forse ci ha svantaggiato la troppa responsabilità che abbiamo avuto nel dirigere le scuole. Pensate ai professori universitari che hanno minacciato di non svolgere le lezioni in autunno, se non aumentano il loro stipendio. Saranno accontentati. E se minacciassimo, insieme a tutto il personale scolastico che è tartassato come noi, di non riaprire le scuole a settembre?

martedì 4 luglio 2017

LE SFORBICIATE SUL PERSONALE ATA

L a situazione finanziaria del Paese è messa piuttosto male se si pensa di risparmiare sul personale della scuola, al di là dei riconoscimenti professionali della Ministra per l’Istruzione (3000 euro per gli insegnanti?) o del Papa. Leggo che ci sarà una riduzione di 2020 posti per il personale ATA prevista dalla Finanziaria del 2015 e nessuno si è preoccupato di abrogare questa norma. Forse non è chiaro che le segreterie scolastiche sono al limite del collasso e non ce la fanno più a sostenere i gravami imposti dalla burocrazia, comprese le indagini a tappeto di ogni tipo che chiedono dati statistici e ultimo la formulazione delle graduatorie dei docenti. Forse non è chiaro che i bidelli o collaboratori scolastici che dir si voglia, sono una risorsa importante per la scuola ,non solo per le pulizie, ma anche per la vigilanza, specie in contesti di scuole situate in aree a rischio. Ancora una volta si sottovaluta questo aspetto facendo tagli lineari, senza considerare dove c’è più il bisogno. Una cosa è tagliare bidelli in una scuola a Capri e una cosa è tagliare bidelli ai Quartieri Spagnoli, per limitarci a due esempi della provincia di Napoli. Altro errore è non prevedere assistenti tecnici nella scuola del primo ciclo. Si parla tanto di scuola digitale e si sottovaluta il fatto che c’è bisogno di manutenzione continua dei nuovi strumenti informatici, altrimenti diventano inservibili. Si sprecano risorse per formazioni inutili , s’inventano “snodi formativi “ di tutti i tipi, solo per far guadagnar i soliti noti. Quindi non è vero che non ci sono soldi: li si impiega in maniera sbagliata, per non dire altro. Eugenio Tipaldi